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Reggio non tace e applaude allo Stato

Di Anna Foti (da ReggioTv) il . Calabria

Erano oltre
duemila gli africani regolarmente o irregolarmente residenti, prima
che Rosarno, come mama Africa ci ha raccontato, si imbiancasse dopo
quella terribile notte di gennaio. La cause presunte: il Razzismo e
l’intolleranza, ampiamente smentite da una reazione della Calabria
tutta che non accetta etichette meno che meno false. Altra causa presunta
un’economia in mano alla longa manus della criminalità organizzata,
una verità atavica del territorio che annulla i meccanismi di legalità
di un tessuto produttivo all’interno dei quali l’agricoltura riveste
un ruolo centrale in questa area geografica, ma non certamente la causa
diretta di questo oscuro frangente della nostra storia. Poi la clandestinità,
cui l’attuale legge dello Stato condanna coloro che senza permesso
di soggiorno non potrebbero, anche in altro contesto, essere contrattualizzati.
Clandestini senza il diritto al lavoro ma non senza voglia di lavorare.
Eppure già i dati, negli scorsi mesi, avevano rivelato che la maggior
parte delle persone di cittadinanza africana impiegate nelle campagne
avevano titolo a permanere in territorio italiano e a stipulare quel
contratto che non è stato loro mai proposto. Quindi, tra le cause quella
principale, lo sfruttamento del lavoro nell’ambito di un contesto
fortemente compromesso dal caporalato e dall’assenza della garanzie.
Questo il quadro che emerge a seguito dell’operazione “Migrantes”
condotta dalla Procura di Palmi sotto la guida di Giuseppe Creazzo,
ed eseguita congiuntamente da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza.
Trentuno arresti per violazioni delle normative in materia di diritto
al lavoro. Tutte compiute, cosa ancora più grave, dopo i fatti di gennaio
e la rivolta dei cittadini immigrati evidentemente causata da uno sfruttamento
della loro manodopera in agricoltura. Tra i capi di imputazione leggiamo
associazione a delinquere, non di stampo mafioso ma finalizzata a favorire
l’immigrazione clandestina e a violare la normativa previdenziale
e del lavoro subordinato, con l’aggravante di truffare lo Stato. Sequestrati
anche venti aziende e duecento terreni, per un valore complessivo di
circa 10 milioni di euro. Dunque a distanza di quasi quattro mesi rispetto
a quella notte di inferno, in cui i cittadini africani si ribellarono
per le strade di Rosarno ad un regime di sfruttamento della manodopera
con paghe giornaliere di poco più di venti euro per giornate intere
di lavoro e ad un vita vissuta in condizioni disumane e degradanti,
ammassati in capanne di carta, lo scenario si delinea e non è rassicurante.
Senza dimenticare che esiti delle indagini, rimane il dato sconcertante
di 290 milioni di euro di proventi illegali dall’immigrazione clandestina
a favore delle ‘ndrine. Una voce, tuttavia in coda rispetto al traffico
di droga e di armi e al fenomeno estorsivo. E su questo fronte rimane
la ferita, anche con riferimento ai fatti di Rosarno, atteso che gli
stessi inquirenti hanno posto in luce un circuito economico sotto scacco
in cui chiunque produca deve pagare la tassa troppo spesso più cogente
di quella dello Stato, all’Antistato della ‘ndrangheta. 

Solo pochi
giorni, mentre a Reggio Calabria si procede all’interrogatorio di
Giovanni Tegano, ultimo grande boss della ‘ndrangheta tra i trenta latitanti
più pericolosi e ricercati d’Italia, arrestato dalla squadra mobile
reggina, a Rosarno anche la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio
Calabria procede, questa volta per associazione mafiosa. 40 sono i fermi
nei confronti di presunti affiliati al clan dei Pesce eseguiti tra la
Calabria e la Lombardia, di questi 24 eseguiti a Rosarno e nella provincia
reggina. 32, infatti, sono i provvedimenti eseguiti dai Carabinieri
del Comando Provinciale di Reggio Calabria e del R.O.S: 24 a Rosarno
e in provincia di Reggio, 7 in provincia di Milano, 1 in provincia di
Bergamo. Al fermo di 8 persone in provincia di Reggio Calabria ha invece
proceduto la Polizia.

Contestualmente
la Guardia di Finanza ha proceduto al sequestro di beni mobili, società 
commerciali e conti correnti (bancari e postali), per un valore di circa
7,5 milioni di euro. Ancora Rosarno al centro di un’operazione di
confisca per mezzo milione di euro di beni al capo dei Bellocco e dei
Piromalli. 

Ma torniamo
a Reggio Calabria, ai piedi dell’Aspromonte dove è finita nella
serata di lunedì 26 aprile, dopo 17 anni, la latitanza di uno
dei più potenti boss mafiosi di Reggio Calabria. Giovanni Tegano,
settantenne, tra le 30 persone più ricercate e pericolose d’Italia.
Temuto nei suoi ambienti e autorevole figura nel panorama delle ‘ndrine
nella provincia reggina, oggi ha richiamato davanti alla questura numerosi
familiari a manifestare solidarietà. Quella mattina solo le loro grida
di sostegno alle persone arrestate e di contestazione dello Stato, al
cospetto del necessario, insostituibile e impeccabile operato della
forze dell’ordine e di una cittadinanza onesta rimasta senza rappresentanti,
ma solo per poche ore.  Nella stessa serata di martedì, infatti,
davanti alla questura in occasione del sit-in promosso dal comitato
Reggio Non Tace, tanti i cittadini intervenuti per applaudire allo Stato
e condividere un momento di vittoria per la Legalità. Il vero volto
di una città che intende fermamente riappropriarsi del proprio destino.

Giovanni Tegano
era ricercato dal 1993 con una serie di ordinanze di custodia cautelare
in carcere e un ergastolo ereditato dal processo “Olimpia 1” 
per estorsione, armi e fatti di sangue, colpevole come è stato giudicato
di essere il mandante dell’omicidio di Domenico Condello, fratello
di Pasquale. Capo dell’omonima famiglia di Archi, quartiere ad alta
densità criminale, è stato arrestato nella serata di ieri in un’abitazione
privata nella contrada di Batìa, frazione di Terreti ai piedi dell’Aspromonte,
insieme ad altre cinque presone accusate di procurata inosservanza di
pena. La famiglia Tegano è federata con l’altrettanto nota ‘ndrina
De Stefano, con la quale si schierò nella seconda guerra di mafia,
scatenatasi nel 1985 a seguito dell’uccisione del boss Paolo De Stefano,
contro il cartello contrapposto dei Condello-Imerti–Serraino. Una
guerra sanguinosissima in cui vennero trucidati numerosi capi storici
di entrambi gli schieramenti coinvolti. Proprio per via di questi vuoti,
la famiglia Tegano avrebbe assunto la funzione di mediatrice nella spartizione
degli interessi economici illeciti nel capoluogo e sarebbe divenuta
la potente ‘ndrina che oggi governa in città. La sua cattura, per esperienza
e attività di vertice svolte nel panorama criminale del capoluogo reggino,
adesso lascia un vuoto che dovrebbe indebolire l’intera macchina criminale.
Inoltre si delineano nuovi scenari adesso al vaglio degli inquirenti,
atteso il lungo arco di tempo di una latitanza che denuncia una compiacente
e nutrita rete di fiancheggiatori.

Non vi è 
dubbio alcuno, comunque, che una pagina storica della lotta al crimine
mafioso a Reggio Calabria lunedì sera sia stata scritta. E non
solo a Reggio Calabria.

Rimane da comprendere,
comunque, perché siano trascorsi 17 anni per arrestare un potente
boss rimasto latitante nella propria città e perché nonostante
i fatti di gennaio a Rosarno e il loro clamore, lo sfruttamento sia
proseguito fino ai recenti arresti.

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