‘Net war’: come la guerra in Ucraina ha cambiato il giornalismo
Con l’autore del libro “Net War” Michele Mezza, anche il segretario generale Raffaele Lorusso e il presidente Giuseppe Giulietti, il segretario della Fondazione Murialdi Giancarlo Tartaglia, la segretaria del Cnog Paola Spadari, Franco Di Mare, Giuliana Sgrena. «Affrontare la mediamorfosi in atto è una sfida per la professione e per tutta la società», il messaggio emerso.
Il rapporto tra informazione e guerra nell’epoca in cui i social media attentano al ruolo di mediatore che è sempre stato (finora?) l’essenza stessa del ruolo del giornalista. Il nuovo protagonismo bellico di algoritmi, fake news o della più classica propaganda. Il giornalismo che evolve, o involve, a “sistema d’arma”. Tanti e complessi i temi al centro del nuovo libro di Michele Mezza “Net-war. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra”, presentato lunedì 14 novembre 2022 nella sala Walter Tobagi della Fnsi.
Moderati dal segretario della Fondazione Murialdi Giancarlo Tartaglia, con l’autore ne hanno discusso, fra gli altri, il segretario generale e il presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti; la segretaria del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Paola Spadari; Franco di Mare, già inviato di guerra e direttore di Rai3; la giornalista Giuliana Sgrena.
«La tecnologia impone di essere veloci e questo fa passare la narrazione del fatto per la verità del fatto», esordisce il segretario Lorusso. «Affrontare questa rivoluzione – ragiona – rappresenta una sfida per la professione, ma anche per la società. Se pensiamo che una persona può decidere cosa passa sui suoi satelliti e cosa no, o che una piattaforma social decide cosa può essere pubblicato e cosa no, allora è la società che deve rendersi conto che così si appaltano agli algoritmi servizi pubblici che stanno alla base della democrazia».
Per cui, rileva Lorusso, «a noi sindacato dei giornalisti spetta il dovere di affrontare questi temi in uno spirito di contraddittorio con una controparte contrattuale (che non c’è), consapevoli che gli algoritmi abitano già le redazioni. Noi giornalisti dobbiamo ribadire chi è che governa l’intelligenza artificiale, che deve essere il giornalista a decidere come fare un pezzo e non l’ingegnere informatico che segue regole che non sono giornalistiche, ma di ricerca dell’audience. In questo percorso – incalza – bisogna coinvolgere gli utenti, che devono sapere che i loro dati servono ai padroni della rete per fare business, ma anche che in pericolo ci sono gli stessi processi democratici».
Di qui l’appello a «coinvolgere politici, giuristi, filosofi, economisti, perché – conclude il segretario Fnsi – lasciare questa materia agli ingegneri informatici significa consegnare il nostro essere cittadini a chi detiene le chiavi della tecnologia, ma non le usa secondo criteri etici».
Il presidente Giulietti rimarca il valore del pensiero critico che «precede e contamina» la riflessione di Mezza, anche per «inquadrare lo stretto nesso fra il sovranismo estremista e il rifiuto della mediazione e il rapporto fra i leader sovranisti e la fabbrica del consenso a colpiti di bot nell’ottica – rileva – della disgregazione molecolare dei corpi intermedi». Anche nel settore dell’informazione. «Ma attenzione, non basta demonizzare il fenomeno: serve l’impegno degli organismi dei giornalisti sulla questione del controllo dell’algoritmo», ammonisce il presidente Fnsi, che propone con l’Ordine una mobilitazione sui temi del Media Freedom Act europeo.
Due i punti su cui Michele Mezza focalizza l’attenzione. La “mediamorosi” che sul campo di battaglia ucraino prende visibilità e spessore portando la professione ad un punto di svolta, con «le informazioni che oggi sono alluvionali e gratuite, mentre la guerra assume l’informazione come “logistica militare” e si combatte trasmettendo contenuti e la loro capacità di intervenire sulla psicologia dell’avversario», ricorda.
E, secondo, il tema caro a Mezza della necessità di «ricomporre lo scippo fatto alla categoria negli anni ‘30 del Novecento staccando informazione e informatica. E la divisione tra etica e narrazione, che si concretizza con la sempre più evidente scissione tra fonti e fatti. Allora – mette in guardia l’autore – il giornalista deve essere in grado di verificare fonti e fatti in diretta: la partita è con quali competenze e a fronte di una quantità alluvionale di potenziali notizie. Altrimenti si fa il gioco di chi vuol trasformare giornali e giornalisti nel megafono di chi ha come obiettivo falsificare le notizie usando l’arma dell’abbondanza di notizie».
Sulle peculiarità della guerra in Ucraina, dove la popolazione affronta l’invasore in «una sorta di guerriglia guidata dall’informazione», si sofferma Giuliana Sgrena, che fra l’altro pone l’accento sul ruolo dell’intelligence, sull’uso degli algoritmi, sul pericolo hacker e su come è mutato il ruolo dei giornalisti nei conflitti dell’ultimo mezzo secolo. «La guerra ha cambiato il giornalismo», la conclusione.
«Gli istituti della categoria – rileva anche Di Mare – devono prendere le redini di una mediamorfosi che altrimenti ci travolgerà. Le notizie che ci vengono dalla guerra in Ucraina fanno parte di una disintermediazione che mette in discussione il ruolo dei giornalisti e del giornalismo nel mondo. Sono l’esempio della necessità di intervenire per adeguare la professione alle nuove esigenze dettate dal ritmo incalzante delle nuove tecnologie».
Paola Spadari ricorda come la verità sia «la prima vittima di ogni guerra» e ribadisce le richieste delle istituzioni della categoria a governo e parlamento ad intervenire per rafforzare il sistema dell’informazione italiana. «Ma su questo tema si sta muovendo prima l’Europa che l’Italia», la denuncia.
Il libro, edito da Donzelli, si apre con le dediche a Julian Assange, Anna Politkovskaja e Aldo Garzia, e riporta una postfazione di Pierguido Iezzi, Ad di Swascan, società di analisi della cybersecurity, che nel suo intervento da remoto tratteggia i contorni della guerra ibrida e l’impatto che ha sulla sicurezza informatica e sul mondo dell’informazione, citando gli attacchi informatici ai siti web delle istituzioni per «fiaccare il morale» della popolazione colpita, da un lato, e il nodo disinformazione, dall’altro.
La registrazione dell’incontro è online sulla pagina Facebook della Fnsi.
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Net-war. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra
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