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Si riapre la faida dei Boschi?

Di Donato A. Notarachille il . Calabria

Sono scenari davvero inquietanti quelli che sembrano delinearsi nell’area montana della Vallata dello Stilaro, al confine tra le Serre reggine (area d’influenza della cosca Ruga – Metastasio – Loiero) e quelle vibonesi (controllate dal clan dei Vallelunga) dopo il ritrovamento del cadavere di Giovanni Vallelonga, 62 anni, boscaiolo e titolare di una ditta dedita alla vendita di legname, avvenuto nel tardo pomeriggio di mercoledì 21 aprile in una zona di montagna nota col nome di Ferdinandea, non lontana dallo stabilimento di acqua oligominerale “Mangiatorella”, che ricade nel territorio del comune di Stilo e che è attraversata dall’ex Statale 110, l’arteria che dalla Statale 106 e da Monasterace attraversa i centri della Vallata dello Stilaro e delle Serre vibonesi fino a giungere alla confluenza con la Statale 18 sul litorale tirrenico poco a nord di Pizzo Calabro. Verso la fine degli anni ‘70 proprio i territori montani al confine tra le province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro erano stati il teatro della cosiddetta “faida dei boschi”, la cruenta mattanza terminata nei primi anni ’90, nella quale proprio Giovanni Vallelonga era stato vittima di un tentato omicidio, mentre in compagnia del futuro genero Cosimo Franzè stava facendo rientro a casa, il 17 agosto del 1988 a poca distanza dal luogo dove mercoledì è stato ucciso.

La vittima, residente con la famiglia nella contrada montana Campoli del comune di Caulonia, aveva precedenti con la giustizia, ed era ritenuta una figura di primo piano del clan Metastasio di Caldarella di Stilo, a sua volta alleato con la cosca Ruga di Monasterace. Tra Giovanni Vallelonga e la famiglia Metastasio di Caldarella di Stilo esiste anche un legame di parentela, visto che uno dei figli della vittima ha sposato una delle figlie di Salvatore Metastasio, deceduto tempo fa per un male incurabile.

L’agguato mortale è scattato in località Nucara, una delle tante zone isolate e poco frequentate della località boschiva del comune di Stilo che nel 1832 Ferdinando II di Borbone aveva eletto come sua riserva di caccia.

Secondo la ricostruzione dei carabinieri del Gruppo di Locri e della compagnia di Roccella, recatisi sul posto con in testa il tenente colonnello Valerio Giardina e il capitano Vincenzo Giglio, e i militari della stazione di Stilo, sarebbero stati almeno due killer ad uccidere in maniera spietata il Vallelonga, che è stato raggiunto da una vera e propria pioggia di piombo (i sicari hanno sparato dall’alto verso il basso) che non gli ha dato scampo.

L’autopsia sul cadavere di Giovanni Vallelonga, disposta dal pm della Procura di Locri, Rosanna Sgueglia, effettuata dal medico legale, dott. Massimo Rizzo ha chiarito che l’omicidio sarebbe avvenuto intorno a mezzogiorno anche se la prima segnalazione telefonica (anonima) al 112 è arrivata a distanza di oltre cinque ore, poco dopo le 17. L’imboscata mortale è scattata mentre la vittima, presumibilmente, si apprestava a portare da mangiare (all’interno del fuoristrada sono state trovate diverse forme di pane e cibo vario) ai dipendenti della propria impresa boschiva.

Dalle indagini balistiche fin qui portate a termine nell’isolato luogo di montagna è emerso che la vittima, mentre si trovava alla guida del suo fuoristrada Nissan “Pajero”, è stata colpita alla testa, al collo e al torace, da numerosi colpi di kalashnikov e, in seguito, da un colpo di “lupara” al viso, come fosse il classico colpo di grazia, sparato da uno dei due killer da distanza ravvicinata, quasi a bruciapelo. Una fucilata devastante che ha sfigurato l’uomo.

Il decesso di Giovanni Vallelonga è stato pressoché istantaneo. Dopo aver portato a termine la loro spietata missione di morte i killer si sono allontanati indisturbati dal luogo dell’omicidio senza lasciare tracce.

È assai probabile, trattandosi di un omicidio di chiaro stampo mafioso, che nelle prossime ore le indagini passino nelle mani dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

Anche se allo stato attuale delle cose sono ancora al vaglio degli investigatori dei carabinieri svariate altre ipotesi, dietro l’omicidio di Vallelonga potrebbe celarsi la riapertura della cosiddetta faida dei boschi.

Un omicidio che potrebbe essere collegato anche all’efferata uccisione avvenuta il 27 settembre del 2009 a Riace, a pochi metri dal santuario dei santi medici Cosma e Damiano, di Damiano Vallelunga, 52 anni, capo indiscusso dell’omonimo e potente clan delle Serre vibonesi.

La violazione della pax mafiosa avvenuta con l’omicidio del potente boss dei “viperari”, a sua volta accusato negli anni ‘90 (ma successivamente assolto dai giudici della Corte d’assise di Catanzaro) dal pentito Pasquale Turrà di Guardavalle, in seguito ucciso da killer rimasti ignoti, di essere uno dei due presunti responsabili, nell’agosto del 1988, del tentato omicidio di Giovanni Vallelonga, potrebbe proprio essere all’origine del nuovo tentativo, questa volta andato a segno, di uccidere lo stesso Vallelonga. Nel corso della cruenta e sanguinosa “faida dei boschi” scoppiata nel 1977 per il predomino del territorio e il controllo delle attività boschive nei territori montani dei comuni di Stilo, Guardavalle, Santa Caterina, Mongiana e Serra San Bruno, sia Giovanni Vallelonga sia Damiano Vallelunga erano già stati vittime di tentati omicidi. Ora a distanza di trent’anni dall’inizio della faida sono stati uccisi, nell’arco di sette mesi, entrambi con modalità tipicamente mafiose. Roba, insomma, troppo grossa per pensare a una coincidenza.

La rottura di delicati e importanti equilibri fra i clan che sovrintendono l’area lascia presagire altro sangue. Se, come sostengono gli inquirenti, Giovanni Vallelonga aveva un ruolo di spicco all’interno del clan dei Metastasio, questo omicidio potrebbe innescare un meccanismo perverso che porterebbe alla riapertura della faida con il coinvolgimento di alleati molto potenti dall’una e dall’altra parte.

Un’ipotesi da non scartare è quella secondo cui la questione potrebbe chiudersi qui in virtù del fatto che attirare oltre modo l’attenzione delle forze dell’ordine e dell’opinione pubblica potrebbe essere un grosso danno per le attività di lucro delle ‘ndrine della zona storicamente molto pervasive e legate al settore dell’edilizia (appalti pubblici e produzione di inerti) e a quello agricolo (assunzione di braccianti, commercializzazione di agrumi e legname).

In ogni caso si tratta del secondo omicidio di ‘ndrangheta che insanguina la valle dello Stilaro nel mese di aprile (venti giorni prima era toccato ad Angelo Ronzello, 26 anni, commerciante di Monasterace, cadere sotto colpi di lupara la notte di giovedì santo) e l’aria nella vallata si fa sempre più irrespirabile.

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