Intimidazioni al giudice Magi “Gesto volontario, ma non mi fermo”
“L’unica cosa certa è che si è trattato di un gesto volontario. Non so chi possa essere. L’autore vuole creare uno stato di tensione. Ma io di professione faccio il giudice. La mia cultura è la cultura della prova. Giudico in base a questa e solo a questa”. Raffaello Magi parla con difficoltà. “Sono coinvolto, non è piacevole”. Da tre giorni vive una atmosfera pesante attorno a sè, l’ombra cupa di una minaccia della camorra più temibile, quella dei Casalesi.
Giudice Magi, lei ha celebrato centinaia di udienze dure e complesse per portare a termine il primo grande processo chiamato Spartacus. Una esperienza unica. Nell’ambito del procedimento ebbe già a fronteggiare una intimidazione chiara, diretta.
“Sì, nel 2005 un pentito disse che era in atto una strategia per far sì che Spartcus non giungesse mai a sentenza. La cosa riguardava me e il presidente Catello Marano”.
Quel giorno, naturalmente, qualcosa cambiò nella sua vita.
“Mi fu affidata una scorta”.
Tecnicamente si chiama tutela.
“Già, due uomini armati in auto con me”.
Condiziona, una cosa del genere…
“Nel lavoro no. Non faccio eroismi ma conosco bene il mestiere che faccio e soprattutto sono a posto con la mia coscienza. Ho detto: la mia cultura giuridica è solo quella della prova. E credo che, a questo punto della mia carriera, sia palese a tutti”.
Possiamo ricostruire la vicenda?
“Accanto alla mia porta di casa c’era una lunga striscia di sangue, sangue umano. Quasi una freccia che terminava dove si trova l’ingresso. Una sorta di C rovesciata. Era impossibile non notarla”.
Quando ha visto cosa ha pensato?
“Ho pensato a un furto. Ho creduto che qualcuno fosse entrato nella mia abitazione”.
Invece questa ipotesi è subito naufragata.
“In base a dati oggettivi. Primo: non c’era alcun segno di scasso in nessun luogo dell’abitazione: porta, finestre. Zero totale. Secondo: in casa non mancava proprio nulla. A quel punto ho chiamato gli investigatori per le indagini del caso”.
Che, al momento, hanno escluso un fatto casuale: che qualcuno possa esseri ferito, anche perché la sua abitazione si trova al secondo piano. C’è poi quell’avvistamento, un’auto sospetta nei pressi di casa sua.
Pur sapendo che lei è scortato…
“Certo che è strano: lo sanno tutti che sono protetto. Un’azione simile equivarrebbe a un messaggio del tipo: “Sappiamo dove sei e chi sei”. Mah…è solo una ipotesi, magari si scoprirà qualcos’altro”.
Chiederà maggiore protezione?
“Mi sembra prematuro, capiamo perbene cosa c’è dietro”.
Dopo Spartacus lei ha continuato a presiedere un collegio impegnato in importanti processi contro la camorra. Attualmente, tra gli altri, giudica circa quaranta imputati del gruppo Casalese dello stragista Giuseppe Setola per reati che vanno dall’associazione camorristica ai tentati omicidi, fino al racket. Dopo questi inquietanti messaggi come si affronta il lavoro quotidiano?
“Separando l’umana personale preoccupazione, anche per la mia famiglia, dal compito del giudice che resta quello, non mi stancherò mai di dirlo, di giudicare in base alla cultura della prova, ascoltando tutte le parti e senza tesi preconcette. Andrò avanti così, come ho sempre fatto, senza fermarmi”.
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