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Chiese di frontiera

Di Norma Ferrara il . Calabria

“Annunciare il Vangelo, denunciare con chiarezza i comportamenti mafiosi e rinunciare, allontanandoli senza alcuna ambiguità”. Con queste parole Don Pino De Masi, prete e animatore di Libera sul territorio, ricorda dopo i fatti di Sant’Onofrio, le tre parole chiave che guidano da molti anni la pastorale annunciata, fra gli altri, da Don Italo Calabrò,  Don Tonino Bello, Don Pino Puglisi, testimonianze di una Chiesa nata e vissuta in zone di frontiera, dove il confine fra la religione, i cittadini e la mafia, non sempre è visibile. Dove si è lottato per affermare diritti che le mafie avevano reso alla stregua di  favori. Una battaglia senza esclusione di colpi, religione compresa.
 “Tutte le volte – dichiara Don Pino – che la religione è stata strumentale a raggiungere gli interessi mafiosi, a generare consenso, a radicarsi e rendersi credibili agli occhi dei credenti, le mafie si sono appropriate di quei rituali, dei simboli, dei momenti sacri”.
 In una cittadina del vibonese, Sant’Onofrio, in Calabria, qualche giorno fa il parroco della comunità, assieme alla Congrega che cura per tradizione il rito dell’Affruntata, hanno presentato ai fedeli della parrocchia le autorevoli indicazioni del Vescovo che, tra l’altro,  miravano a tenere lontani i mafiosi dalla partecipazione attiva ai momenti più significativi della processione.  “L’area del vibonese – racconta De Masi – è una zona abbastanza calda, forse fra le più difficili in Calabria”. Si toccano nervi scoperti e la ‘ndrangheta non manca di far sentire il suo dissenso: verso il portone del  priore, Michele Virdò, i boss dirigono in pochi tempi alcuni spari. “Quello che è accaduto è che la Chiesa sta prendendo sempre più coscienza di qual è la situazione – commenta De Masi.  Una situazione difficile ma che non sorprende. Le mafie non sono nuove all’uso strumentale della religione e dei suoi riti sacri. A San Onofrio, dai racconti di un pentito, sappiamo che accadeva anche di peggio. Pare che i riti dell’Affruntata fossero stati scelti dagli ‘ndranghetisti – racconta De Masi – come momento di apprezzamento pubblico dei nuovi picciotti, quindi l’annuncio che da parte del parroco è stato espressamente rivolto ai mafiosi ha rappresentato un “affronto” non indifferente. Per questo la reazione è stata immediata e visibile”. 
Una ‘ndrangheta che commercia ad Amsterdam, traffica droga in Colombia e investe a Milano ma soprattutto non arretra di un millimetro dal suo storico radicamento sul territorio, quella descritta da De Masi, una presenza “fatta anche di molti simboli, di tradizioni profane e  religiose ma anche dell’importanza del “riconoscimento sociale”, In questi anni in molti hanno sottolineato i tanti silenzi della Chiesa sui territori “sensibili”, di frontiera, in materia di criminalità organizzata, dopo le parole di Giovanni Paolo II ad Agrigento c’è stato un vuoto. “Anche la Chiesa  – commenta De Masi – sta facendo un percorso di consapevolezza, di conoscenza. Ma non bisogna dimenticare che è proprio dalla Chiesa – ricorda il sacerdote –  che sono state date le parole fondamentali, gli insegnamenti inequivocabili e le denunce precise che in molti territori, tra questi la Calabria, si sono fatti importanti passi avanti.  
L’ultimo in ordine di tempo è la nota pastorale dei vescovi italiani “Per una chiesa solidale, Chiesa Italiana e mezzogiorno” , scrivono i Vescovi: “in questa situazione, la Chiesa è giunta a pronunciare, nei confronti della malavita organizzata, parole propriamente cristiane e tipicamente evangeliche, come peccato, conversione, pentimento, diritto e giudizio di Dio, martirio, le sole che le permettono di offrire un contributo specifico alla formazione di una rinnovata coscienza cristiana e civile”. Si è parlato a lungo della mancata scomunica ufficiale della chiesa verso i mafiosi e De Masi aggiunge: ” si fa tanto parlare di questa scomunica, trascurando che è già avvenuta. Vivere religiosamente ogni giorno seguendo la parola del Vangelo, esclude di per sé i comportamenti mafiosi. La mafia si colloca, automaticamente, al di fuori di questo modello di vita”. Ma sono soprattutto le Chiese e le città di frontiera, come quella di Sant’Onofrio, a cercare nella comunità la spinta per un cambiamento che isoli i mafiosi e rafforzi la società responsabile. Sant’Onofrio, Comune sciolto per mafia solo un anno fa, è un territorio in cui,  secondo la relazione della Direzione nazionale antimafia, in particolare, è presente la ‘ndrina Bonavota che fa affari anche nel nord del Paese. Un territorio difficile quindi, nonostante l’impegno civile e religioso. “Lo Stato ha fatto molto sul versante del contrasto militare all’organizzazione – conclude De Masi – ma manca ancora la reazione della società civile. I risultati ottenuti dalle forze dell’ordine, chiediamo a De Masi, non incitano, non rassicurano? Pare di no, la gente ha ancora paura, non si sente sicura, non ha fiducia nel cambiamento. E questo perché a mancare è soprattutto la politica”. L’anello debole di questo percorso verso la ribellione – racconta De Masi – è proprio il mondo della politica”.
 Ai giovani, dunque, sottolinea il parroco animatore di Libera in Calabria, è “affidata la forza di disubbidire” ai comportamenti mafiosi.

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