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Mario Paciolla: una verità negata

Francesca Ragusa, Matilda Matteucci il . Criminalità, Diritti, Giovani, Internazionale, Memoria, Società

Come ogni anno, anche in questo inizio settembre più di 150 ragazzi e ragazze da tutta Italia hanno deciso di passare una settimana per ritrovarsi e confrontarsi sui temi dell’antimafia sociale.

Durante questi giorni di gruppi di lavoro e conferenze, svoltisi nella splendida cornice di Paestum, un grande spazio è stato dato alla memoria. Una memoria viva e collettiva che spinga all’azione.

Oltre al ricordo delle vittime innocenti del territorio in cui questo raduno è stato ospitato, è stata raccontata la storia di Mario Paciolla, a cui è stata dedicata l’intera settimana e con i cui genitori, Anna e Pino, è stato creato un momento importante di ricordo e dialogo.

Mario Paciolla, laureato in relazioni internazionali e, come ci racconta la mamma, da sempre propenso all’accoglienza dell’altro, sin dal 2016 si trovava in Colombia con le Brigate di Pace. Dal 2018 inizia una missione di verifica per conto dell’ONU, riguardante gli accordi di pace nel Paese.

Anna ci racconta come inizialmente Mario fosse estremamente contento ed entusiasta, ma anche come, col tempo, questo entusiasmo diminuisse sempre più.

Questa intuizione sull’irrequietezza di Mario viene confermata definitivamente cinque giorni prima della sua morte, quando comunica ai genitori di voler tornare assolutamente in Italia a causa di problemi sussistenti con l’Organizzazione.

La notte del 14 luglio Mario comunica loro che il 20 dello stesso mese sarebbe rientrato in Italia e che il suo viaggio sarebbe iniziato la mattina seguente, il 15.

Quella stessa mattina la mamma ci racconta di aver mandato a Mario un messaggio di raccomandazioni, uno di quei classici messaggi che una madre manda ad un figlio prima di un viaggio così lungo. Però quel messaggio non verrà mai nemmeno visualizzato.

Alle ore 20 Anna e Pino ricevono una telefonata da parte di un legale dell’ONU che comunica loro la morte del figlio. Parla di suicidio e chiede se vogliano il ritorno della salma in Italia.

I genitori di Mario non hanno mai creduto alla tesi del suicidio.

Nelle parole di Anna si percepisce la rabbia nei confronti di un’Organizzazione che non ha saputo proteggere la vita del figlio e che si presenta come l’attore meno disponibile a trovare verità e giustizia per Mario.

Nonostante il dolore, il messaggio che passa è forte e non è fraintendibile: “Vorremmo che questa storia non fosse dimenticata – ci dice Anna – Come genitori abbiamo necessità di verità. […] per l’onore di nostro figlio e anche di tutti i cooperatori”.

Ad oggi i genitori di Mario non conoscono la verità circa la morte di loro figlio. Come loro l’80% dei famigliari delle vittime innocenti di mafia, anche a distanza di tantissimi anni, non conoscono realmente ciò che è accaduto ai loro cari. Per questo è importante continuare a raccontare le loro storie, a tenere alta l’attenzione e a pretendere verità e giustizia per tutti loro.

La foto è di Anna Motta

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Libera, il X Raduno nazionale dei Giovani a Paestum (SA)

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