Generale Dalla Chiesa: il mio ricordo a quarant’anni dalla strage di via Carini
Nel bel mezzo della campagna elettorale che ci porterà al voto tra meno di un mese, ecco il 40esimo anniversario della strage di via Carini del 3 settembre 1982, nella quale il generale Carlo Alberto dalla Chiesa (neo prefetto di Palermo) venne ucciso da Cosa Nostra insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e al loro autista Domenico Russo.
Poiché (a parte qualche candidatura “eccellente”) non sembra che il tema della mafia sia in cima all’agenda della politica, mi sembra utile ricordare una riflessione di Dalla Chiesa già più volte citata (anche da me), tratta dall’intervista di Giorgio Bocca su La Repubblica del 10 agosto 1982.
Dalla Chiesa io l’ho conosciuto bene, era “programmato” per la repressione nel rispetto delle regole. Era uno Sbirro coi fiocchi (nel senso nobile del termine, con la S rigorosamente maiuscola!). Ebbene, questo Sbirro non dice che per sconfiggere la mafia ci vogliono manette e ancora manette. Dice altro.
Dice: “Ho capito una cosa molto semplice ma forse decisiva (decisiva! nda): gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini, non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.
In altre parole, se i diritti fondamentali dei cittadini non sono soddisfatti, i mafiosi li intercettano e li trasformano in favori che elargiscono per rafforzare il loro potere. Così la mafia vince sempre. I mafiosi ne sono ben consapevoli. E la gente non fa certo quadrato con lo Stato.
Dopo Dalla Chiesa (absit iniuria…) facciamo parlare Pietro Aglieri, un pezzo da novanta di Cosa Nostra, che a un pm di Palermo, Alfonso Sabella, ebbe a dire: “Quando voi venite nelle nostre (sic) scuole a parlare di legalità e giustizia, i nostri (sic) ragazzi vi ascoltano e vi seguono. Ma quando questi ragazzi diventano maggiorenni e cercano un lavoro, una casa, assistenza economica e sanitaria, a chi trovano? A voi o a noi?”.
Ecco, finché i cittadini incroceranno soltanto il volto “militare” dello Stato e invece dello Stato troveranno soprattutto i mafiosi, finché saranno costretti ad essere sostanzialmente loro sudditi, la guerra alla mafia non sarà vinta. E sarà vano pretendere un duraturo, costante impegno della società civile.
I politici (quelli in buona fede) dovrebbero far tesoro del messaggio di Dalla Chiesa, abbandonando la deplorevole e purtroppo consolidata abitudine di delegare tutto alle forze dell’ordine e alla magistratura.
Il Fatto Quotidiano, il blog di Gian Carlo Caselli
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