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Operazione Garibaldi

Di Luigi Spera il . Campania

Una volta sarebbe bastato che un esattore del pizzo di un clan fosse entrato in un negozio, anche solo per sbaglio, a chiedere denaro a un imprenditore o commerciante che già ‘versava’ la tasa criminale a una cosca avversa, per scatenare una guerra di mafia. Sarebbe stato un affronto da punire in maniera esemplare. Oggi no. Non a Torre Annunziata, dove le cosche Gionta e Gallo-Cavalieri, dopo aver insanguinato per anni le vie della città con decine di omicidi commessi per il controllo degli affari illeciti sul territorio, nonostante siano ancora ‘formalmente’ in fase di conflitto armato, hanno firmato un vero e proprio ‘patto di non belligeranza’. Molto semplice in concreto: via libera a tutti per l’imposizione delle estorsioni nei confronti di ogni attività produttiva della città. Anche se bisogna andare entrambi delle stesse persone. L’importante è fare cassa. Un’antinomia nei contronti delle regole fin’ora conosciute della criminalità organizzata. Un dato davvero nuovo e, se possibile, ancor più inquietante, quello venuto fuori dall’operazione “Garibaldi”. Un blitz dei carabinieri della compagnia oplontina scattato all’alba di oggi, che ha visto finire in cella in tutto 11 persone: 8 dei Gionta, 3 dei Gallo-Cavalieri. Clan che da decenni si contendono le attività criminali della città. I militari guidati dal capitano Luca Toti, hanno potuto far scattare le manette al termine di un’accurata indagine partita appena due mesi fa dalla denuncia di un imprenditore del polo nautico della zona di Rovigliano. 

Un racconto che ha messo subito in moto gli inquirenti e i magistrati della Dda napoletana che a stretto giro di posta sono riusciti a raccogliere gli elementi d’indagine utili per disporre gli arresti. Quello che non cambia mai sono le vittime. Imprenditori e commercianti che cercano di fare impresa in un tessuto sociale dove una delle prime voci di bilancio continua a essere, loro malgrado, la camorra. Fenomeno e realtà con la quale è diventata normale e ovvia la convivenza. E anche stavolta, la testimonianza della vittima della prepotenza camorristica è stata davvero forte: almeno 15 richieste estorsive subite nell’arco di poco più di un anno. Denaro, molto, una tantum fino a 40mila euro, ma anche somme minori per l’acquisto di beni come motociclette, scarpe e finanche sigarette. A testimonianza di una protervia criminale che non conosce limite. Ma come spesso accade, le estorsioni non si limitavano a questo, in caso di possibilità di assunzioni, a trovare lavoro erano più spesso gli stessi esponenti dei clan o persone da questi segnalate e ‘imposte’. Per chi non assecondava i dettami mafiosi delle cosche storiche e note per la loro pericolosità, ritorsioni, minacce, attentati. E se si considera che non bisogna tenere testa a uno, bensì a due clan contemporaneamente, diventa impossibile andare avanti. Così l’imprenditore ha trovato il coraggio di denunciare. 
Con il nome in codice ‘Garibaldi’, l’uomo ha raccontato ai carabinieri che registrava le tangenti pagate ai due clan in modo diverso nella contabilità: scriveva cioè ‘attrezzi nautici destra e attrezzi nautici sinistra’. Tutto fino a quando non ha deciso di mettere la parola fine ai soprusi. La risposta dello Stato che a Torre Annunziata da qualche anno ha ripreso in mano una situazione sfuggita perisolosamente dal controllo della legalità per un lungo periodo, è stata forte e immediata. A due mesi dalla denuncia infatti sono scattate le manette. L’imprenditore è rimasto a Torre Annunziata e vive sotto protezione. A lui nel corso di una conferenza stampa, è andato il plauso del procuratore aggiunto Rosario Cantelmo che ha elogiato la decisione dell’imprenditore e ha detto che il verbale in cui ha denunciato i camorristi ha un valore civile talmente alto che dovrebbe essere letto nelle scuole. E di collaborazione fondamentale ha parlato anche Tano Grasso: “L’azione di contrasto dei carabinieri e della Procura si intreccia con una novità importante rappresentata dalla disponibilità a collaborare da parte delle vittime. E’ ancora in una fase iniziale ma è già molto positivo”. Così Grasso, presidente della Fondazione antiracket, 20 anni fa protagonista della nascita dell’associazione di Capo d’Orlando in Sicilia, in una dichiarazione all’Ansa, commenta l’operazione contro i due clan che chiedevano il pizzo agli imprenditori nautici nella zona vesuviana.”Un clan si accredita come tale – sottolinea Grasso – e dimostra di saper controllare il territorio se riesce ad imporre il pizzo. E’ una dinamica tipica dell’azione delle organizzazioni criminali”. A suo giudizio quello che è molto grave è “il fatto che si imponga l’assunzione di personale in nelle aziende sotto racket. E’ come avere un cavallo di Troia che controlla tutto e che limita notevolmente la libertà di azione dell’impresa stessa”. Ma passi in avanti nel contrasto, come evidenzia Grasso, sono stati fatti negli ultimi mesi proprio con le azioni delle forze dell’ordine e della magistratura, insieme con le associazioni antiracket, prima a Ercolano, poi a Torre del Greco ed ora a Torre Annunziata. Nonostante gli arresti di ieri, le indagini non sono ancora per nulla terminate e gli inquirenti stanno continuando a lavorare per cercare di risalire alla fittissima rete di estorsioni che avvolge la città e il suo tessuto produttivo, attraversando ogni attività. Dovunque circoli denaro, non importa quanto, deve esserci la parte della camorra.

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