La forza dell’impegno
«Prima tanta solitudine poi grazie all’impegno sono riuscita a superare il dolore e non mi sento più sola, ma parte di una grande famiglia. La forza me la danno mamma e i miei fratellini. Quando racconto la loro storia e quella di tante altre vittime della mafia li faccio rivivere. E questo mi dà tanta forza». Margherita Asta aveva appena 10 anni quando un’autobomba uccise la mamma Barbara Rizzo e i fratellini Giuseppe e Salvatore, di appena 6 anni. Era la mattina del 2 aprile 1985, e l’ordigno era destinato al giudice Carlo Palermo, giunto da appena quaranta giorni a Trapani ma, evidentemente, già diventato scomodo per Cosa nostra. Ma, lì sul lungomare di Pizzolungo, tra la bomba e le auto del magistrato e della scorta si intromise l’utilitaria di Barbara che fece da scudo. Morirono dilaniati, i corpi scagliati a più di cento metri. Probabilmente chi spinse il pulsante del radiocomando si accorse di tutto ma non si fermò. E questo ancora pesa nel ricordo di Margherita. «Dopo 25 anni vorrei incontrarlo, guardarlo negli occhi e chiedergli “perché?”. Anche se so che non pagherà mai». I probabili esecutori, infatti (vedi scheda), sono stati assolti definitivamente e quindi, malgrado successive rivelazioni dei pentiti, non possono essere più giudicati, anche se si trovano in carcere per altri delitti. E Margherita vorrebbe davvero parlare con loro. «Perché provocano tanto dolore? Anche loro hanno una famiglia. I soldi non se li godono, sono in galera, non si godono i figli…».
Lei, invece, una «grande famiglia», l’ha ricreata. Prima l’incontro con don Luigi Ciotti, poi l’impegno con Libera, della quale è responsabile per la provincia di Trapani, e tanti incontri nelle scuole a parlare della sua storia, della mafia e di come si debba lottare per cambiare. «È stata una grande fatica ma necessaria per dare la giusta memoria alla mamma e ai miei fratelli. Quasi quasi mi sento in colpa quando magari sono stanca e non ne parlo, perché questo è il mio compito, il mio destino, come se quel giorno io non fossi stata lì proprio per poter raccontare la loro vita. Certo non dico che ho superato il dolore, ma piango di meno. Di più quando ascolto il dolore degli altri».
L’aiuta una forte fede con la quale sta cercando di salire la difficile strada del perdono. «Ci penso, ci rifletto. Ma ancora non ci riesco. Mi hanno rubato l’infanzia, i sogni dei miei fratellini, le speranze di mamma…». E qui, come darle torto, il ricordo doloroso riprende per un po’ il sopravvento. Ma la commozione si volge subito in positivo. «Io devo combattere l’indifferenza, il disimpegno, il non fare le cose fino in fondo. Ho scelto di scendere in campo piuttosto che stare sugli spalti e vedere la partita giocata da altri. E questo vado a dire ai ragazzi». Con risultati ogni anno migliori. «Si vedono i frutti, vedo sempre più persone che vogliono dire “basta!” alla mafia e al malcostume. Soprattutto giovani. Fiorisce la primavera e fiorisce l’impegno». Anche nel Trapanese, terra dell’ultimo grande boss mafioso, il superlatitante Matteo Messina Denaro. E anche su questo Margherita ha parole di speranza ma anche accuse precise. «Tante cose sono cambiate. Tanto fermento, tante associazioni. Tanti arresti grazie al grande lavoro e impegno della magistratura e delle forze dell’ordine. C’è tra la gente più voglia di partecipazione. Ma manca il salto di qualità, una vera rivoluzione culturale. Certo c’è Messina Denaro ma ci sono anche tutti i suoi complici, quelli che, volendo o non volendo, lo aiutano nella sua latitanza. E allora siamo veramente liberi?».
Ora però quest’anno le ha portato due bellissimi doni. Accanto a lei c’è Enrico, conosciuto a Modena. «Lo sapevo che prima o poi sarebbero arrivati la primavera e il sole nella mia vita. Oggi sono arrivati…». E poi, finalmente parte il progetto del “parco della memoria” che sorgerà sul luogo della strage. Tutta l’area è stata acquistata dal comune coi soldi ottenuti con la costituzione di parte civile in processi contro i mafiosi. E pensare che proprio lì una precedente amministrazione aveva autorizzato uno stabilimento balneare. «Era come se mamma e i fratellini fossero stati uccisi una seconda volta». Ma ora davvero si volta pagina. “Non ti scordar di me”, è il nome delle iniziative che da tre anni vengono organizzate in occasione dell’anniversario, «non più passerella per politici locale ma occasione per i ragazzi per scoprire parte della nostra storia». Sul piccolo monumento che il papà di Margherita, a sue spese, fece mettere a Pizzolungo, c’è scritto che le vittime «attendono il riscatto dei siciliani dal servaggio della mafia». «Non è più tempo di farli attendere ancora – chiede Margherita –. Solo così, affermando la libertà, riscatteremo anche la loro morte e quella di tante vittime innocenti».
da L’Avvenire
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