Regole per l’estate. Ma quale aereo, che trenino sia (e non l’alta velocità)
“E chi se ne frega”. Era il titolo di una felicissima rubrica del settimanale satirico “Cuore” diretto da Michele Serra negli anni novanta. Funzionava così: si prendeva una frase di un intellettuale o giornalista un po’ narciso (tipo “la mattina preferisco un sano yogurt al caffè”) e poi lo si piazzava sotto il titolo della rubrica, per restituire il malcapitato alle sue dimensioni naturali.
Ecco, dirò subito che questo pezzo è il perfetto candidato per quella rubrica. Ma vedendo di essere in buona e crescente compagnia mi sento di osare l’inosabile.
E di pronunciare la parola magica della mia estate: trenino. Sì, sarà l’estate del treno regionale veloce, o – in sua assenza – di quello semplice. Da qui a settembre niente aerei né frecce rosse.
L’ultimo aereo che ho preso (Ita) ha fatto all’andata due ore e un quarto di ritardo. Volo nazionale, si intende. Con cambio di gate all’ultimo e quindi perdendo posti in fila o sulle già scarse panchine. Ormai si ha l’obbligo di stare inebetiti con gli occhi all’insù per controllare orari e uscite, sempre che ci siano quadranti in buon numero e leggibili a distanza.
In più, quando puoi salire, arriva l’obbligo (ovvio ma infido) di sederti dove ti hanno messo. Senza sapere se avrai un vicino che tiene la mascherina o meno. Che tossisce a raffica o meno. Stipato tra due braccioli sperando che quelli accanto, appiccicati a tre centimetri, non siano positivi. È il business, bellezza.
Quanto alle frecce rosse, ho ancora negli occhi la scena della signora che lamenta l’assenza di aria condizionata, il controllore che assicura che “ora entra in funzione”, lei che ribatte speranzosa “perché l’altro giorno su questo treno era rotta”, e lui che sorride per poi tornare dopo un po’ con l’ambasciata “purtroppo è rotta”.
Quella volta fu possibile cambiare carrozza. In estate non lo sarebbe. E non è nemmeno possibile tirare giù il finestrino come nei magnifici treni regionali. Senza contare che quando controllo i quadranti in stazione per i treni a lunga percorrenza vedo spesso ritardi inauditi. 90 minuti, 120 minuti….
E ascolto, mentre ci viaggio sopra, spiegazioni semicomiche, tra cui da un paio d’anni ne primeggia una mai data nei secoli: presenza di persone non autorizzate lungo i binari.
Inizialmente pensavo che fosse un modo per dire che c’erano blocchi ferroviari con scioperi. Un modo dolce per non scatenare i passeggeri contro i manifestanti. E invece non trovavo mai notizie sulle cronache locali. Niente di niente. Dunque ladri di rame? Zingari? Comitive di aspiranti suicidi? Da dove e come rilevati?
Da qui la determinazione dell’estate 2022. Basta. Non voglio più pagare il prezzo dei braccini corti sulla manutenzione e sul personale; né quello della disorganizzazione. Le mezze giornate di vacanze non le restituisce nessuno, e il fegato neanche.
Sogno dunque paesini in valli e campagne e montagne, alberghetti e stanze a basso prezzo, frescure nell’estate che si annuncia “ribollita”. Voglio controllare chi siede accanto a me. Voglio un po’ di pace, visto che sui regionali per fortuna non ci sono aspiranti manager che usino il cellulare per far sentire che comandano.
E da un po’ vedo che molti amici sembrano pensarla così. Saranno più lenti, ‘sti regionali veloci. Ma costano molto meno. E non li aspetti per mezze ore oltre il Po a causa di un “guasto temporaneo” nei pressi di Pescara.
Finché scopro sulla grande stampa che sta proprio partendo la moda dei treni a bassa percorrenza.
Che in Spagna addirittura saranno gratis fino a dicembre per combattere l’inflazione. E vedo i dati dell’agenzia europea sull’inquinamento atmosferico. Ne producono tantissimo gli aerei, tanto le auto, praticamente nulla i treni.
E allora trenino sia. Abbassare le aspettative per stare meglio. E fare qualcosa di buono. Come dice il direttore, “sono soddisfazioni”.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 18/07/2022
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