‘Giovanni e io’, Contrada non ha niente da dire sul libro di Arlacchi? Su di lui rivelazioni pesanti
Ma il dott. Contrada non ha davvero niente da dire?
Pino Arlacchi ha pubblicato il libro Giovanni e io (edizioni Chiarelettere) del quale ha già parlato nel suo blog Stefania Limiti, un libro ineludibile per chi voglia capire cosa sia successo tra la fine degli anni 70 e la metà degli anni 90 del secolo scorso.
A rendere questo libro così prezioso è proprio il ruolo di Arlacchi, che dalla fine degli anni 70 stringe un rapporto profondo con Falcone e Borsellino, con i quali collaborerà strettamente fino alla loro morte nel ’92. Del libro di Arlacchi colpiscono i virgolettati, i giudizi e le informazioni vergate senza condizionale, come solo può fare un testimone oculare che decida di raccontare sine glossa ciò che ha vissuto, visto, sentito.
Sono giudizi ed informazioni che per questo appaiono clamorose. O almeno mi sarei aspettato che lo apparissero: proprio perché Arlacchi è un testimone oculare, vivo e vegeto, perché alcuni importanti processi che ancora indagano sul periodo delle stragi sono aperti (a Firenze, come a Reggio Calabria, come a Palermo e Caltanissetta) e perché alcune delle persone tirate in ballo da Arlacchi sono ancora sulla scena. Anche pubblica, pensando a Dell’Utri e Berlusconi.
E così torno al dott. Contrada, che immagino si stia godendo la pensione e soprattutto la soddisfazione di essere stato scagionato e riabilitato dalla Corte Europea dei Diritti Umani dopo che la giustizia italiana aveva ritenuto provati i suoi rapporti amichevoli con Cosa Nostra.
Nel libro di Arlacchi le informazioni relative a Contrada sono pesanti come macigni, a pagine 51, per esempio si legge: “L’operazione riesce. E non soltanto perché il terminale di Cosa Nostra interno alla Questura è stato disattivato (Contrada!), ma anche perché il Procuratore Costa, davanti al rifiuto dei suoi sostituti, ha firmato di persona gli ordini di cattura. Siglando contemporaneamente la sua condanna a morte (verrà ucciso di lì a poco il 6 Agosto 1980)”.
E a pagina 228, rievocando il “finale di partita” con Falcone e Borsellino scrive: “Il più urgente cambiamento da attuare riguardava la posizione rispetto all’Alto commissario antimafia e al ruolo di Bruno Contrada, il funzionario di polizia e agente del Sisde complice di Cosa Nostra, fin dagli anni 70” (passando per l’attentato all’Addaura, rispetto al quale Arlacchi attribuisce a Contrada una specifica responsabilità, avendo il Contrada, sempre secondo Arlacchi, un interesse concreto nel far saltare in aria Falcone insieme a Carla del Ponte, fino alle stragi di Capaci e Via d’Amelio).
Ecco: quello che mi colpisce è il silenzio che circonda un libro come questo.
Nessuno, tanto meno Contrada, per quel che mi risulta e sarei contento di essere smentito, ha sentito il bisogno di reagire, di contraddire le affermazioni di Arlacchi. Possibile che ormai la “pacificazione” sia stata così profondamente metabolizzata dagli attori pubblici in questo Paese? Possibile che abbia davvero ragione Berlusconi quando rivendica il merito di aver posto fine alla Guerra Fredda in Italia?
Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti costoro che a forza di mettere la polvere sotto il tappeto si foraggiano acari destinati a diventare giganteschi succhia-sangue.
Poi non ci si lamenti dell’eccessivo protagonismo di certa magistratura accanita, che non molla l’osso degli abusi criminali di potere: non è eccessivo, non lo è mai stato, è l’assenza quasi completa di altri attori che fa apparire questi magistrati così ingombranti.
Come quelli di Firenze, che ostinandosi a non consegnare alla polvere l’inchiesta sui mandanti e sui concorrenti delle stragi del ’93, ha recentemente ascoltato Ilda Boccassini (come avevamo sommessamente auspicato in questo blog qualche mese fa) dopo che quest’ultima, ormai in pensione, ha affidato ad un suo libro di memorie il ricordo di un incontro del 2011 con il giornalista D’Avanzo, che le rivelava la fonte che nel 1994 aveva raccontato dell’inchiesta aperta sui soldi che Berlusconi inviava regolarmente a Cosa Nostra, bruciandola. Senza che questo colpisse gli interessi elettorali di Berlusconi che fu l’unico ad avvantaggiarsi veramente per quello scoop: inchiesta bruciata, notizia immediatamente destituita di fondamento (i pentiti dicono sempre un sacco di cagate), elezioni vinte. Tre a zero e palla al centro per i successivi vent’anni.
Certo esiste il ne bis in idem, ma c’è talmente tanta roba che non credo sia impossibile trovare un aliquid aliud.
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
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