La criminalità organizzata in Russia e l’ascesa della mafia cecena
Sul panorama delle mafie nella Comunità degli Stati indipendenti (CSI), piuttosto complesso e solo da pochi anni venuto in primo piano rispetto all’attenzione delle autorità competenti e dell’opinione pubblica, non esistono molti documenti o studi dai quali sia possibile ricavare informazioni più rigorose quanto alle sue strutture interne e alle dinamiche che ne scaturiscono.
La vastità dei territori, la loro effervescenza politica, la varietà delle culture, delle etnie, il numero dei gruppi criminali attivi, ci fa pensare naturalmente a un pluralismo variegato anche di modelli organizzativi operanti al loro interno. Ci dobbiamo, pertanto, accontentare soltanto di qualche profilo tracciato relativamente alla mafia russa attiva nel suo paese di origine e a quella che ha preso forma tra gli emigrati presenti negli Usa.
Analisi e modelli
Non c’è, tuttavia, unanimità nel definire il grado e il tipo di strutturazione interna alla criminalità organizzata russa, in quanto, stando a studiosi come l’economista Lev Timofeev (si veda il suo “Russia Secret Rulers”, New York, 1992), questa sarebbe in grado di esercitare un ruolo determinante nella politica nazionale, come un governo segreto il cui potere è ancora sottovalutato. Un punto di vista che è forse troppo sommario e apocalittico.
Analisi più realistiche e concrete sono orientate a negare che le organizzazioni russe siano analoghe al modello di Cosa nostra americana e propendono ad assimilarle a quelle di matrice sudamericana: una tale ipotesi venne definita, nel 1993, dal FinCEN (Financial Crimes Enforcement Network) del Dipartimento del Tesoro Usa.
Secondo queste fonti ci sarebbero oltre cinquecento capi mafiosi nei paesi della CSI, prevalentemente di nazionalità russa, georgiana ed ucraina. Ciascuno di questi boss controllerebbe quattro settori di attività attraverso un elemento di sua fiducia, chiamato “brigadiere”. Altre figure (le “spie”) aiuterebbero il capo a controllare che il “brigadiere” sia leale, non prevarichi le sue funzioni e non diventi troppo potente. I quattro settori sarebbero il traffico di droghe, la prostituzione, i legami con la sfera politica e il gruppo dei “combattenti”, ossia degli esecutori violenti, dei sicari.
Un modello, questo, che si accorda sostanzialmente con quello delineato nel 1989 da fonti russe quando si parlava di un vertice affiancato da figure di secondo piano che ne garantivano la sicurezza e lo aiutavano nell’esercizio del potere. Alla base dell’ideale piramide, gli esecutori, gli operativi, ai vari livelli. Non sempre è evidente o provato che esista un unico leader, ma è chiaro che le attività e le strategie vengono progettate e decise ad alto livello.
I modelli sopra delineati, tuttavia, a nostro parere appaiono troppo riduttivi o semplicistici; non si può pensare, infatti, di poter ridurre solo a quattro i comparti dell’impresa criminale, data la miriade delle attività gestite; nel modello del 1989, i grado di genericità è tale che non aiuta a capire molto dell’effettiva struttura e delle dinamiche interne di una criminalità che deve essere necessariamente più complessa, data anche l’articolazione internazionale delle attività svolte.
Pertanto, gli schemi delineati non sono all’altezza dell’ipotesi che avvicina questa criminalità ai modelli sudamericani nei quali una miriade di unità minori in qualche modo specializzate fanno capo al coordinamento operato da un vertice, anch’esso peraltro articolato. Il boss, per quanto geniale o competente possa essere, ha bisogno per la vastità degli interessi che gestisce dell’aiuto e della consulenza di una più vasta gamma di soggetti e mette in moto sicuramente nuclei operativi più numerosi.
La visione del Federal Bureau of Investigation
Secondo l’americano Federal Bureau of Investigation (FBI) sono riconoscibili quattro tipi fondamentali tra le organizzazioni criminali russe ed euroasiatiche e cioè; gruppi criminali di vecchio stampo sovietico, della vecchia nomenclatura insomma, che hanno coinvolto boss e gruppi criminali locali e regionali; organizzazioni a carattere etnico come i ceceni, gli azerbaigiani, i georgiani, i daghestani, i tartari; le associazioni coordinate dai “vory v zakone” (più o meno “ladri maestri” o “laureati”), considerati i gradi più alti della gerarchia criminale; altre organizzazioni, non meglio caratterizzate, capeggiate da un leader dai pieni poteri e interessate a varie attività criminali.
L’inquinamento mafioso nel paese, già a livelli molto alti (le mafie dirette dai russi sono particolarmente attive nel settore finanziario controllando molte delle 2300 banche commerciali, almeno 2000 imprese statali e molte di quelle private), è destinato ad aumentare con la crisi economica e finanziaria collegata alla guerra scatenata in Ucraina dal presidente Putin.
I gruppi etnici
Accanto alla criminalità organizzata russa vera e propria esiste, a causa di una forte immigrazione sviluppatasi nel tempo dal sud caucasico, una serie di gruppi strutturati in clan a carattere etnico; in prevalenza si tratta di georgiani, seguono azeri, daghestani, ceceni, ingusci e osseti, popolazioni di diverse etnie e per lo più di religione musulmana che sono stanziate nei territori compresi tra il Mar Nero, il Caspio e la catena del Caucaso. Soltanto a Mosca si calcola che ci siano almeno mezzo milione di immigrati caucasici considerati un vivaio della criminalità organizzata.
Ogni gruppo ha la sue peculiarità. I georgiani sono specializzati in rapimenti e furti con scasso e controllano il gioco d’azzardo a Mosca; gli azeri dominano il mercato dell’ortofrutta con metodi simili a quelli della camorra napoletana; daghe stani e armeni gestiscono il racket del piccolo commercio e gli osseti sarebbero famigerati per rapine e stupri.
I vari gruppi etnici, poi, si sarebbero divisi, in modo informale, il florido mercato degli stupefacenti: gli azeri controllerebbero le droghe sintetiche, gli ucraini il mercato della cannabis, afgani e pakistani l’eroina, i russi la cocaina. Tutti, comunque, userebbero per la distribuzione cittadini di nazionalità russa, soprattutto nelle grandi città come Mosca e San Pietroburgo.
Il gruppo criminale più importante è però quello dei ceceni. Soltanto a Mosca sarebbero attivi più di cinquecento ceceni in posizioni di rilievo e diverse migliaia di delinquenti comuni impiegati in compiti di routine. La mafia cecena si articola in grandi gruppi – con strutture simili, sembra, a quelle dei siciliani – specializzati in truffe e furti di auto, estorsione, prostituzione e traffico di droghe. Sarebbe anche nota per i suoi spietati killer.
L’aspetto più preoccupante sta nel fatto che i boss della mafia moscovita godono di grossa considerazione sociale e sono visti come modelli di successo da imitare; costoro esibiscono apertamente il loro potere e il loro denaro, consapevoli dell’impunità e del consenso di cui godono, alla maniera dei nostri camorristi.
Una situazione, dunque, estremamente pericolosa che frena ogni pur timido tentativo di sviluppo di una società civile.
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