Bellezza e antimafia: un puzzle siciliano per gli italiani di domani
Sono tutte e tre siciliane. Non ci vuole molto a capire il valore di questa identità di gruppo.
Perché le tre siciliane sono tutte maestre della Scuola primaria “Armando Diaz” di via Crocifisso, zona centralissima di Milano. E domani partiranno con i loro piccoli allievi per un viaggio di istruzione nella propria terra. Per insegnare l’amore per la legalità, la memoria di chi è caduto per difenderla, il valore di una storia d’Italia che non sta sui libri e che passa, appunto, per la Sicilia.
Oggi, vigilia di partenza, in una festa d’istituto presenteranno alle famiglie nel cortile della scuola gli elaborati prodotti dai 62 alunni delle tre “quinte” che parteciperanno al viaggio. Cartelloni, nomi simbolici, foto e immagini, citazioni, con al centro come è ovvio i due giudici della leggenda, Falcone e Borsellino; tutto impreziosito dalle firme, a volte solo il nome, a volte nome e cognome, dei bambini.
Si chiamano Ketty Falsaci, Melania Papale e Irene Grenci, le tre insegnanti. Di Barcellona, provincia di Messina, la prima. Della provincia di Catania la seconda, della provincia di Agrigento la terza. Con loro pure Paola Caravita (“anche lei del sud ma non siciliana”).
Il programma è stato pensato sposando storia della cultura e storia civile. Prima la Valle dei Templi di Agrigento, poi Selinunte, quindi Palermo, con visita alla Cappella Palatina e al Palazzo di Giustizia. E si resta colpiti, in effetti, da questo accostamento. La meravigliosa cappella normanna accostata all’arido palazzone bianco presidiato in armi.
Da una parte la storia dell’arte e delle grandi civilizzazioni europee, dall’altra la storia di una grande civilizzazione ancora in corso, quella di liberazione dalla mafia che quaranta, trent’anni fa, ebbe il suo faticosissimo e insanguinato epicentro nel Palazzo di giustizia palermitano. Viene la pella d’oca a pensarci, e forse dovrebbe venire a ogni magistrato che ci vada oggi a lavorare.
“Come arrivano i bambini a questo viaggio? Per loro è la conclusione di un percorso che ha riguardato tutto il ciclo della formazione primaria. Tutte e tre abbiamo questi bambini con noi dal primo anno di scuola. Vede”, spiega Ketty Falsaci, a Milano dal 2001, in questa scuola dal 2005, “loro non riescono a elaborare l’ingiustizia, la respingono, ne sentono forte il senso. Quando noi raccontiamo che cosa è accaduto in Sicilia si coinvolgono, e anche i bambini che in altre materie sono meno partecipi diventano attenti a tutto. Andare all’albero Falcone o all’albero Borsellino si trasforma per loro in desiderio. In una esperienza precedente un bambino vide in via D’Amelio il cognome ‘Borsellino’ sul citofono e senza che noi ce ne accorgessimo si emozionò tutto e iniziò a suonare finché si affacciò la sorella, che ci volle incontrare. Io credo che capiscano che stanno dando un piccolo contributo a costruire più giustizia”.
D’altronde, continua la maestra, “non lo imparano anche a scuola quando giocano con i puzzle? Ogni tessera da sola sembra insignificante. Ma le tessere, messa una accanto all’altra, in un ordine sensato, formano un disegno d’insieme, quel che si vuole raggiungere”.
Ecco, difficilmente ho sentito metafore così capaci di convincere che davvero, come diceva Falcone, “ognuno può fare qualcosa”. E anche le famiglie in questo caso hanno voluto fare qualcosa. Non tutti i bambini avrebbero infatti potuto pagarsi il viaggio. Ci ha pensato un fondo speciale dei genitori. Così in 62 potranno fare un’esperienza indimenticabile.
“Ha presente che cosa vuol dire vedere con i propri occhi, calpestare le mattonelle, toccare l’albero Falcone, indagare i gesti e le parole che si trovano sul posto?”.
Ho presente, ho presente la differenza. Per questo ho voluto raccontare questa bella e orgogliosa storia di antimafia senza clamori, di cui nessuno o quasi sa nulla. Purtroppo.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 23/05/2022
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Insidiarsi, schernirsi ed essere afferrati. L’assalto senza fondo alla lingua italiana
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