Golem II, il cerchio si stringe intorno a Messina Denaro
Qual è il volto della mafia trapanese? È il viso di imprenditori, professionisti, di insospettabili commercianti, uomini che hanno scelto di servire il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro non nascondendo la devozione riservata nei suoi riguardi, «è il capo di tutto» lo appellano. C’è affianco a questi volti quelli della vecchia mafia che non abbandona mai il campo, come quella di «don» Nino Marotta, classe 1927, castelvetranese: fu «consigliori» del patriarca della mafia belicina, «don» Ciccio Messina Denaro, adesso lo è del figlio, Matteo, 48 anni il prossimo aprile, latitante dal 1993. Marotta era tra quelli che convocava i «summit» quando c’era qualcosa da decidere, dentro una officina di Castelvetrano, il segnale erano le sue parole che annunciavano a chi doveva esserci «che il pezzo di ricambio era arrivato».
Una cerchia di 18 persone finita in manette stanotte a Trapani nell’operazione “Golem II”, 18 persone fermate per ordine della Procura antimafia di Palermo, provvedimento eseguito dai Poliziotti delle Mobili di Trapani, Palermo e dello Sco. Una mafia tutt’altro che remissiva, in ritirata, pronta a compiere balzi in avanti e per questo la Dda di Palermo (procuratore aggiunto Teresa Principato, pm Paolo Guido e Marzia Sabella) non ha voluto attendere i tempi per la emissione da parte del gip di una ordinanza di custodia cautelare ed ha deciso di agire con i fermi. . Ad agire la scorsa notte il «pool» che ha condotto le indagini, gli agenti delle squadre mobili di Trapani e Palermo e dello Sco (servizio centrale operativo di Roma). La notte scorsa sono andati a bussare alle porte di personaggi insospettabili, alle abitazioni dei familiari del latitante, nella casa della madre Lorenza dove vive anche la compagna del boss, Francesca Alagna, che a Matteo ha dato una figlia oggi quindicenne e che porta lo stesso nome della nonna. Una casa dove in ogni stanza ci sono due foto poste sui mobili, quella di Francesco, morto in latitanza nel 1998, di crepacuore per l’arresto del figlio Salvatore, oggi tornato in manette, e quella di Matteo, il segno preciso è dire che «loro ci sono». Caparbietà trasferita anche all’esterno come testimoniano le intercettazioni che hanno permesso di ascoltare i complici di Matteo Messina Denaro discutere di tante cose.
Il vertice. La mafia trapanese è nelle mani dei più stretti parenti del super boss, il fratello Salvatore Messina Denaro, il cognato Vincenzo Panicola, Giovanni e Matteo Filardo, suoi cugini. Loro guidavano il «cerchio» di persone più vicine al latitante, Salvatore Messina Denaro era indicato da tutti come «la testa dell’acqua», arrestato l’altro suo cognato, il bagherese Filippo Guattadauro, toccò a Salvatore diventare il referente per i contatti da e per il fratello latitante. Quella della scorsa notte è l’operazione che è il seguito di quella dell’estate scorsa, «Golem» quando furono arrestati i «pizzinari» che gestivano il circuito esterno, quelli di ora sono soggetti vicinissimi al latitante, che hanno avuto (lo tradiscono nelle loro discussioni finite intercettate) occasione di incontrarlo, come racconta di avere fatto l’imprenditore di Castelvetrano Giovanni Risalvato, lo stesso che è pronto a mettersi a disposizione per fare da manovale, andare a bruciare la casa per esempio del consigliere comunale del Pd di Castelvetrano Pasquale Calamia, «punito» in questa maniera per avere auspicato durante una seduta consiliare (presente il prefetto Trotta) l’arresto del latitante così da cancellare la nomea di Castelvetrano città di Messina Denaro.
Gli arrestati. A finire in manette sono stati: Salvatore Messina Denaro, 57 anni, Maurizio e Raffaele Arimondi, 44 e 50 anni, Calogero Cangemi, 61 anni, Tonino Catania, 43, Lorenzo Catalanotto, 30 anni, Andrea Craparotta (detto Giovanni), 46, Giovanni e Matteo Filardo, 47 e 42 anni, Leonardo Ippolito, 55, Marco Manzo, 45, Antonino Marotta, 83, Nicolò Nicolosi, 39, Vincenzo Panicola, 40, Giovanni Risalvato, 56, Filippo Sammartano, 52, Salvatore Sciacca, 30, Giovanni Stallone, 52. Tra i 18, sei sono imprenditori, Raffaele Arimondi, Calogero Cangemi, Giovanni e Matteo Filardo, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola; due commercianti Maurizio Arimondi e Giovanni Stallone. Nel corso dell’operazione, sono state eseguite oltre 40 perquisizioni, nelle province di Trapani, Palermo, Torino, Como, Milano, Imperia, Lucca, Siena e Caltanissetta, nei confronti di altrettanti soggetti, ed è stato eseguito il sequestro preventivo penale di un’impresa commerciale per la distribuzione all’ingrosso di caffè e prodotti dolciari (la società Ari gestita da Salvatore Messina Denaro), di un centro revisioni e officina autorizzata Alfa Romeo e di un esercizio pubblico.
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