Insidiarsi, schernirsi ed essere afferrati. L’assalto senza fondo alla lingua italiana
Ci sono le guerre vere e terribili, provocate dalle invasioni. E ci sono le guerre da niente, invisibili, in cui per fortuna nessun essere umano muore, e non una sola stilla di sangue scorre; provocate invece dagli assalti interni.
Come quella in corso con grande dispendio di mezzi contro la lingua italiana. L’esercito che attacca è numeroso ma composto da unità agilissime, che si muovono d’istinto, per spirito dei tempi. Si mimetizza dietro titoli di studio superiori, l’ignoranza colta è la sua bandiera. È una guerra di posizione, a pensarci, dove le sortite dalle trincee non sono però mai seguite da arretramenti. Una volta che l’attacco è partito va poi avanti indefessamente, senza che nessuno possa o voglia fermarlo. Né ci sono alleanze o patti sovranazionali che ti possano aiutare. Perché l’aggressione, appunto, nasce dentro i confini.
Leggi giornali, comunicati stampa, mail forbite, tesi di laurea. Ascolti conferenze, convegni, discorsi politici, talk show televisivi. E ti chiedi come mai nessuno metta un argine, eriga una linea Maginot. Come mai non si formino battaglioni di volontari in difesa della vittima, la Lingua, che ha pur sempre un valore storico e collettivo.
Ma lo vogliamo dire scandalizzati, gridare con raccapriccio, che “finalizzare” vuol dire “dare una finalità” e non “concludere”? Ma possibile che un cronista calcistico dall’italiano claudicante, che iniziò decenni fa a usare nelle sue radiocronache il verbo finalizzare per dire “tirare in porta” o addirittura “far gol”, sia prima diventato il verbo supremo della cronaca sportiva (Dio ci restituisca Gianni Brera!) e poi abbia trovato miriadi di emuli tra gli accademici, addirittura nell’editoria? Ma come è possibile leggere che ancora “non ho finalizzato il rapporto di ricerca”? Cioè, alla lettera: ancora non sai perché lo stai scrivendo? E se io dicessi che finalizzo qui questo articolo?
Non si pensi però questa guerra singolare possa contare poche conquiste. Da qualche tempo le truppe dell’ignoranza colta stanno espugnando una roccaforte dopo l’altra.
È così che da almeno un paio d’anni si fa largo tra i giovani più altamente istruiti, quelli capace di dire “euristico” e “controintuitivo”, l’insidia suprema: usare, appunto, “insidiarsi” per “insediarsi”. Gli americani si erano “insidiati” in Afghanistan, i clan calabresi si sono insidiati in Emilia e in Lombardia, la finanza cinese si insidia nel mondo del calcio. Il grottesco non viene nemmeno percepito dagli oratori o dagli scrittori. Che volte anzi, affettando eleganza oratoria, ti sbattono l’orrore in faccia già ad inizio di discorso.
Senza parlare del delicato, timido “schermirsi”, che – perso ogni pudore – diventa (un giorno ben due volte sullo stesso quotidiano) “schernirsi”. E l’esperta di libri che ti confessa di non essere “afferrata” in materia? Sulle prime non ci credi. Poi si ripete.
Morale: fate scendere in campo i riservisti, per favore. I vecchi maestri e maestre con i loro vestiti logori e gloriosi. Che magari non si intendono di social ma sanno il dizionario. Chiamiamoli a rispondere all’assalto. Diamo loro un sito, il più bello del reame, per farci un magnifico elenco delle asinerie del giorno, con tanto di firma, nome e cognome, alla faccia del politicamente corretto se no non funziona.
Ormai le parole si incistano nella nostra lingua per giochi di assonanze, come quelli attraverso cui passano i bambini per imparare a parlare. “Narrativa” invece di “narrazione”, “impattare” invece di “incidere”, con quel che consegue nelle preposizioni.
Per non citare il dilagante “attenzionare”, un classico degli appuntati dell’Arma di una volta. Che però ora studiano. Mentre il loro linguaggio di un tempo ora lo usano, nell’assalto, assessori e giornalisti.
Che caos. Roba da Battiato. Roba da bandiera bianca.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 16/05/2022
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