Il grande buco nero della Basilicata
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Una vera e propria bomba ecologica a
cielo aperto. E’ questa l’immagine preoccupante della Basilicata che
viene fuori dallo speciale di Vanguard andata in onda su Current Tv.
Un sistema ambientale ed economico
insostenibile dove è attiva una «criminalità ambientale
specializzata nella gestione illegale dei rifiuti», si legge nel
rapporto ecomafie di Legambiente. «Lo smaltimento dei rifiuti in
questa nostra regione è il grande affare», denuncia don Marcello
Cozzi, di Libera Basilicata, che aggiunge: «la Basilicata è
diventata il laboratorio per capire cosa è diventata la mafia oggi».
«La nostra regione – sottolinea Antonio Bavusi dell’Organizzazione
lucana ambientalista – è il luogo dove si può smaltire all’oscuro
di tutto». Dove si può smaltire tutto.
E’ il caso dell’ex Liquichimica nel
comune di Tito, a due passi da Potenza. Le immagini riprese sono
raccapriccianti. Il terreno attorno all’ex fabbrica è intriso di
rifiuti della produzione di fertilizzanti e detergenti. Dal 2002 è
un sito di interesse nazionale da bonificare. Si calcola che nel
terreno sono state sversate 300 mila tonnellate di fanghi industriali
e 200 mila tonnellate di fosfogessi. Questi ultimi contengono tracce
elevate di uranio e radio. Abbandonati nel terreno, protetti da
semplici teli in Pvc. Nei pressi dell’ex Liquichimica ci sono delle
sorgenti d’acqua. Poco più distante c’è un’intera collina che
sembra essere franata. In realtà è stata “violentata” dallo
scarico di migliaia di tonnellate di scorie radioattive prodotte
dalla Sider Potenza. «La bonifica della collina – afferma Giuseppe
di Bello, tenente della Polizia Provinciale di Potenza – è stata
affidata al Consorzio di sviluppo industriale, lo stesso che ha
prodotto questi veleni».
Veleni, e tanti scaricati dove capita.
La Basilicata, infatti è una regione scarsamente popolata piena
di zone incontaminate e difficilmente controllabili. «E’ un grande
buco nero – denuncia don Cozzi – dove accade tutto e il contrario
di tutto». Succede, ad esempio, che le acque di un fiume, il
Torrente delle Ciavole, siano di colore rosso a causa di ossidazioni
metalliche. Oppure che l’amianto sia usato per fare fondi stradali, o
sia abbandonato, senza essere assolutamente trattato in aperta
campagna. Dai contenitori danneggiati le polveri di amianto si
spargono nell’aria. All’Enichem di Pisicci Scalo a causa dell’amianto
si contano tra gli operai 110 decessi, 40 invalidi e 660
riconoscimenti di esposizione all’amianto. C’è l’inceneritore di
Melfi che gli ambientalisti definiscono una bomba ecologica.
«L’iscrizione al registro degli
indagati alla Dda di Potenza per reati ambientali – sottolinea il
magistrato Vincenzo Montemurro – sono proporzionalmente maggiori
rispetto a quelli di Salerno». Quando si parla di ecomafie, in una
regione in cui si nega l’esistenza delle mafie, denuncia don Marcello
Cozzi, si ha a che fare con: «grandi potentati economici e
criminali», pezzi deviati dello Stato, massoneria e mafie. «La
Basilicata – aggiunge Montemurro – è il momento iniziale e
terminale per i traffici di rifiuti radioattivi», traffici
transnazionali che si legano con la la Somalia e l’omicidio di Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin, con le navi dei veleni, fatti al centro di
numerose indagini e inchieste che a tutt’oggi non hanno portato
grandi risultati. «La Basilicata ha fatto la felicità dei criminali
e dei loro affari», commenta don Cozzi, ed è proprio in
questa regione che si può assistere al salto di qualità delle
mafie. Un cambiamento radicale senza paragoni: da mafie contadine a
post-industriali, capaci di arricchirsi trafficando rifiuti,
avvelenando il proprio territorio e la propria gente. Nel silenzio
delle istituzioni e di buona parte della stampa, perchè in
Basilicata la mafia non esiste.
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