Dalla parte di chi resiste. Per la pace, senza elmetto. Come sempre. Come mio padre
Vi raccontiamo il nostro 25 aprile. In Italia nessuno mise mai in dubbio dove fosse la ragione
Ha ragione Liliana Segre. Questo 25 aprile ha un sapore particolare. Più esigente e inquieto di altre volte.
Non perché la data abbia mai odorato di naftalina. L’abbiamo pur festeggiata appena dopo che gli eredi del fascismo erano andati al governo per libero voto popolare. O mentre erano in corso progetti per scardinare i princìpi della “Costituzione nata dalla Resistenza”.
Il fatto è che stavolta la leggenda e i suoi miti evocano la drammatica quotidianità in cui siamo immersi da due mesi. E ci interrogano. “Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor”. Segue “Bella ciao”, sempre vissuto come il canto di un sacrosanto eroismo popolare. Ma vale per tutti il diritto di riconoscersi in quel canto? O cambia a seconda delle bandiere? La risposta, lo sappiamo, è che la situazione ucraina è più complessa.
In realtà la situazione fu “più complessa” anche nel settembre ’43. Chi ci aveva occupato (l’invasor) era stato nostro alleato in guerra fino a pochi giorni prima. Noi cambiammo (fortunatamente) le nostre alleanze e gli voltammo le spalle. Complesso il quadro lo era anche allora, dunque. Eppure -e giustamente- nelle ricostruzioni storiche nessuno ha un filo di dubbio su dove fossero il torto e la ragione davanti agli eccidi, alle fucilazioni. Altro che svolazzare “gentil farfalletta”, fino a negare la natura patriottica della guerra partigiana. Su quello parlano i documenti storici, come ho già qui già ricordato.
Ma ai lettori del Fatto vorrei ora dare alcune informazioni aggiuntive. Locali, circoscritte. Che mi riguardano personalmente. Questo 25 aprile, mi si perdoni il ricordo, cade nel quarantennale dell’assassinio del prefetto dalla Chiesa. Il quale, come non tutti sanno, da giovanissimo ufficiale dell’Arma comandava nel 1943 la tenenza di San Benedetto del Tronto e decise di passare con la lotta partigiana, meritandosi subito una taglia da parte dei nazisti e, anni dopo, la cittadinanza onoraria di San Benedetto.
Molte sono le pubblicazioni e le commemorazioni in arrivo. Sicché ho avuto la curiosità di andare a sentire sul posto gli sviluppi delle ricerche dell’Anpi su quella vicenda. Mi ha ricevuto un esponente dell’associazione, Bruno Torti, un signore gentile e colto proveniente da lunga esperienza politica nella sinistra. Il quale sta ricostruendo con passione le vicende della Resistenza sanbenedettina e marchigiana.
Mi ha dunque raccontato il ruolo dei carabinieri in quella lotta, che ha portato -fra l’altro- a intitolare la piazza principale della città al maresciallo Luciano Nardone, ucciso da un plotone nazista che voleva razziare per sé viveri destinati alla popolazione.
E il ruolo di mio padre. Le fonti orali, confortate da documenti e perfino da una foto dalla latitanza, narrano fra l’altro di un sospetto che nasce inizialmente nei partigiani verso il giovane tenente: che sia stato lui a far bloccare l’arrivo per mare di un carico d’armi dall’Italia liberata, in realtà segnalato ai tedeschi da un suo superiore in grado.
Il tenente, affrontato direttamente, spiega senza reticenze di stare dalla parte degli insorti. Avvisa anche i pescatori del prossimo arrivo di reparti tedeschi, intenzionati a requisire i pescherecci, probabilmente proprio per bloccare i rifornimenti via mare. Una volta alla macchia, cura personalmente alcuni di questi collegamenti, volti a salvare civili e rafforzare l’azione dei patrioti (come si chiamavano tra loro i partigiani). E attiva trasmissioni radio con gli americani.
Ecco, ho pensato a questo e altri episodi con orgoglio di figlio. E ho pensato però anche che, pur in una situazione maledettamente complessa, quel tenente non ebbe dubbi. Difese le popolazioni e si diede da fare perché quell’impresa disperata avesse armi a disposizione. Non era guerrafondaio, non si mise l’elmetto (che non figura nella foto).
Fece la Resistenza.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 25/04/2022
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Senza elmetto. Pacifisti sì, ma dalla parte del Vietnam, del Cile, di Praga e oggi di Kiev
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