Corpi e gas, il dilemma che dilania l’Unione Europea
Le immagini che scorrono in queste settimane sotto i nostri occhi sono dilanianti e crudeli. Così come crudele è ogni guerra e ogni conflitto quando si muove lungo le città e i luoghi abitati.
Non solo per le bombe che cadono, ma anche per gli eserciti che invadono e lasciano dietro di sé scie di sangue per tanti e diversi motivi, anche i più futili. Molto spesso non solo sangue, ma stupri, torture, innescando un meccanismo di odio che necessita di anni e anni per essere superato.
Distruggere la vita delle persone non solo fisicamente, ma anche spiritualmente e psicologicamente e i luoghi abitati che hanno una storia, una cultura, tradizioni è la capacità più impressionante e spietata che ha l’umanità di annientare se stessa.
E’ stato così in Vietnam, in Cambogia, in Afghanistan (sia da parte russa che americana), in Cecenia, in Iraq, in Bosnia, è così in Yemen, in Siria, in Libia, in Palestina, nelle zone abitate dai Curdi, ora anche in Ucraina.
Nessuno è senza peccato, neanche dopo due guerre mondiali e milioni di morti.
La pace in questi anni è stata a singhiozzi e in nessun continente si è mai veramente concretizzata (ricordiamoci la guerra nel Balcani degli anni ’90 a pochi km da noi).
Nella nostra Europa e in tutto il mondo Occidentale, abbiamo pensato con l’economia e il mercato libero e globalizzato di neutralizzare guerre e conflitti, ma oggi la realtà ci consegna anche la nostra sconfitta.
La storia dell’uomo è fatta anche di geografia, di confini territoriali degli stati, di nazionalismi, di desiderio di predominio (sia esso economico o militare), di sete di potere e di visioni antiche di ciò che un popolo è stato, che spesso spingono a superare i valori della dignità umana e che siamo disposti anche a tradire e non solo con le guerre militari.
L’Occidente nella sua storia recente ha dato molta importanza ai diritti e alla dignità delle persone, in Europa con questi valori si è dato vita a una Unione Europea. Questa e non l’economia e la finanza doveva essere la strada da seguire. Dagli anni ’90 in poi, con l’avvento del liberismo politico che è sfociato nell’aspetto sociale dell’individualismo, abbiamo tradito anche noi questi valori.
Ora l’invasione russa dell’Ucraina apre scenari inesplorati, imprevedibili dove è necessario costruire un nuovo equilibrio nei rapporti tra i paesi, dove l’economia non sarà la sola strada da percorrere.
Ma intanto che fare dunque perché questa nuova tragedia si fermi?
Quanto siamo disposti a concedere del nostro benessere perché si possa indurre tutti a fermarsi?
E basterà questo sforzo per portare sul serio a un tavolo di trattativa chi è chiamato a fare scelte che riguardano interi popoli?
Domande che oggi sembrano non avere una risposta, ma intanto un’economia di guerra si affaccia anche ai nostri orizzonti e una guerra lunga e incerta si profila come l’ipotesi più probabile.
Un’economia di guerra dove si arricchisce soprattutto chi vende armi e dove si rafforzano quei paesi che sono maggiormente autonomi dal resto del mondo (in questo caso principalmente la Cina e gli Stati Uniti d’America).
Mentre i corpi inermi di tante persone sono sparsi lungo le strade delle città dell’Ucraina, nasce in noi la consapevolezza che niente sarà più come prima e che non basterà ricostruire un domani solo di muri e case.
Corpi e gas, è la sfida che lancia, non inconsapevolmente, Putin al mondo occidentale, con i quali fino a ieri lui ha fatto principalmente affari e dal quale siamo stati anche attratti.
Pensavamo di essere i vincitori della guerra fredda, in quella fine degli anni ’80 che hanno coinciso anche con il massimo sviluppo del liberismo economico e finanziario.
Oggi la realtà fatta di morte e di energia ci spinge a scegliere se per noi sono più importanti la dignità e la libertà personale rispetto al nostro benessere economico ed eventualmente a quanto siamo disposti a cedere del secondo per dare spazio al primo.
Il benessere economico si può costruire anche in paesi dove minore è la libertà (la Cina, l’Indonesia, l’India, il sud est asiatico sono lì a dimostrarci che anche dove ci sono minori libertà lentamente si può iniziare a vivere meglio), la libertà di pensiero, di parola, di movimento, di iniziativa personale, di creatività, di espressione politica, di conseguenti scelte politiche che derivano dalla decisione di un popolo si manifestano in modo più pieno nelle democrazie.
Corpi e gas è il dilemma dunque della nostra Europa dove alla rabbia delle stragi di innocenti si aggiunge la paura per la minore produzione di energia che serve per far andare avanti le nostre economie.
Un dilemma che non sembra facile sciogliere, che cambierà il nostro modo di vivere, che inciderà sul nostro futuro, ma che non dobbiamo neanche vivere da soli spettatori, ma anche da attori, chiedendo e lottando perché da questa tragedia umana nasca una società con minori disuguaglianze, con meno ricchi e meno poveri, con più diritti e meno armi, con più libertà personali e meno proprietà individuali.
Quei corpi dilaniati e quelle vite perse, come in tutte le guerre di resistenza e di emancipazione di un popolo avrebbero se non un senso, almeno dato un segno a noi per una ribellione capace anche di farci rinunciare a qualche privilegio per un domani migliore per tanti altri che fino ad oggi hanno avuto molto meno dalla vita.
In questo senso la scelta che viene in queste ore dal Parlamento Europeo di un embargo totale sull’energia va nella direzione di difendere soprattutto la libertà. Vedremo se i singoli paesi dell’Unione Europea avranno lo stesso coraggio.
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