Ucraina e Cecenia: non dimentichiamo Antonio Russo
Le dinamiche messe in atto da Vladimir Putin in Ucraina oggi e in Cecenia nel 1999 sono le stesse.
Falso pretesto: ora combattere il nazionalismo neonazista, allora il terrorismo islamico. Strategia di accerchiamento dei centri principali. Massicci bombardamenti con utilizzo di armi non convenzionali: ordigni a grappolo, bombe vacuum, forse al fosforo. Offensiva di terra frenata dalla resistenza locale. Bersagli civili e corridoi umanitari colpiti intenzionalmente sulla base di presunti depositi di armi, combattenti nascosti e simili, mirando piuttosto a terrorizzare e svuotare le città. Propaganda strumentale e repressione del dissenso interno.
Ad essere radicalmente diversa è la copertura giornalistica dei due conflitti. In Ucraina è presente un esercito di inviati che attraverso le telecamere e la scritta press su elmetti e giubbotti filmano e raccontano con dovizia le operazioni militari, le distruzioni degli edifici, i corpi delle vittime abbandonati lungo le strade senza possibilità di sepoltura, le sofferenze dei sopravvissuti che non vogliono abbandonare i propri cari, la propria casa, il proprio Paese e al suono sinistro delle sirene riparano nei rifugi improvvisati, e di quelli rimasti intrappolati nelle città e nei villaggi più colpiti, senza acqua, cibo e corrente elettrica.
In Cecenia invece, a causa del blackout informativo imposto dalla Russia, i giornalisti testimoniavano devastazioni e atrocità con grande difficoltà, le telecamere erano esigue, le immagini confinate nei telegiornali tra un servizio e l’altro, gli aggiornamenti nei trafiletti delle pagine interne dei quotidiani.
Un chiaro riflesso anche del diverso atteggiamento della comunità internazionale – ora interventista, finanzia armi e applica sanzioni commerciali, allora ininfluente o latitante – l’invasione cecena venne sostanzialmente minimizzata quale affare interno russo.
Il giornalista di Radio Radicale Antonio Russo fu uno dei primi ad essere ucciso nel corso di quel conflitto che si allungò fino al 2009. Il 16 ottobre 2000 venne rinvenuto senza vita in una stradina di campagna nei dintorni di Tbilisi. Aveva denunciato a chiare lettere i crimini compiuti a danno della popolazione cecena, su tutti l’uso di armi proibite, e con ogni probabilità ne aveva messo insieme prove concrete.
Le indagini sul suo omicidio non sono approdate a nulla né in Georgia né tantomeno in Italia, nessuno dei due Paesi ha mai indagato davvero in direzione dell’accertamento della verità, la Russia di Putin, era, al tempo e per ragioni diverse, estremamente condizionante per entrambi.
Nel ricostruire la vicenda, l’intento del podcast “La congiura del silenzio”, finalista della decima edizione del premio Roberto Morrione e pubblicato su Rai Play Sound, è quello di porre l’accento sulla sequela di ambiguità, omissioni e occultamenti di testimonianze che hanno viziato l’attività investigativa, oltre che sulle possibili piste trascurate, gli opportuni testi mai ascoltati e tutte le domande senza risposta.
* Finalista del Premio Morrione con il podcast “La congiura del silenzio” che ha ricostruito l’omicidio di Antonio Russo
Fonte: Premio Roberto Morrione
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La congiura del silenzio: diretta live sul podcast dedicato ad Antonio Russo
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