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Io so ma non ho le prove …

Di Norma Ferrara il . Recensioni

Cui prodest? A chi interessa? Questa la prima domanda che un investigatore deve porsi quando comincia un’indagine su un delitto. Con questo interrogativo, il magistrato Alfonso Sabella, muove la sua introduzione al libro di Silvia Resta “La bomba di Firenze” edito da GrandAngolo nel novembre del 2009. La giornalista, oggi in forza a La 7, ha seguito per anni la cronaca giudiziaria realizzando servizi e reportage su mafia, terrorismo e criminalità e in questo libro – come scrive nel suo “Avviso ai lettori” – ha inteso ricostruire un racconto di fantacronaca dove “realtà e fantasia, come accade nei sogni, si sovrappongono, si mescolano, si integrano. Capricciosamente sino a confondersi”. 

La cornice nel quale ambienta questa storia è quella della strage del 27 maggio del 1993. La notte in cui a Firenze Cosa nostra fece esplodere, in via dei Georgofili, una bomba che provocò, cinque morti, molti feriti e danni incalcolabili al patrimonio artistico conservato nel museo degli Uffizi. Un attentato on cui l’organizzazione mafiosa Cosa nostra, ritenuta dalle sentenze passate in giudicato, responsabile dell’esplosione, inaugurò nel Paese la sua stagione stragista, con matrice mafioso – terroristica per alcuni mesi. Dopo Firenze, verranno Milano e Roma. 
Questo libro prova a fare il mestiere del giornalista, al contrario: raccontando fatti inventati e attribuendo loro connotazioni reali e attuali. Gli occhi con i quali si ripercorrono le indagini su via dei Georgofili sono quelli di una giornalista americana, Kate Morrison, che si trova a investigare su quello che è accaduto nel ’93 in Italia; poco prima e poco dopo le stragi, su Cosa nostra e quella regia molto mafiosa e altrettanto “politica”. Così quegli occhi “estranei” all’Italia e alla mafia sono il filo conduttore che scruta e cerca una spiegazione a quello che vede: piazza della Signoria letteralmente sventrata, molto lontana dall’immagine da cartolina che ricordava, ambulanze, telegiornali che si soffermano su dettagli e non si fanno domande chiare. «Kate cerca senza sapere cosa. E’ a caccia di un segno, di una traccia, di qualche particolare che abbia un senso – scrive la Resta. Con una missione di giornalismo, cosi come lo aveva imparato per le strade di New York, sotto la guida del suo caporedattore: quello che vedi scrivi e tieni sempre pronte le domande. La verità da cercare. E quella ufficiale da scartare con cura, da setacciare, da verificare. Sempre». 
In Italia – si commenta nel libro – non funziona così. «Vengono trascurati fatti importanti – commenta la protagonista – il più delle volte vengono nascoste verità evidenti, soprattutto se scomode«. Più portavoce del palazzo, che controllori, in breve. Alternando scenari nazionali, di matrice mafiosa, a quelli internazionali, legati al narcotraffico colombiano, nel libro si raccontano le prime indagini della magistratura, le prime notizie sui media italiani, gli indizi raccolti da Kate, la giornalista americana. Nel frattempo la tensione nel Paese rimane alta, le bombe continuano. E’ la volta di Milano e poi Roma. Un investigatore aiuterà, nel fantaracconto, la giornalista americana a scoprire alcune parti di questa verità. Fu solo mafia? Chi suggerì gli obiettivi? E a chi servirono quelle bombe? Silvia Resta affida alla penna coraggiosa ed estranea della Morrison, una risposta del tutto fantastica, diciamo onirica, quasi surreale. 
Ma non per questo impossibile. Dopo aver pensato per anni che la stampa italiana meritasse l’oscar per la censura e autocensura, Kate Morrison, scoprirà che anche quella americana non è da meno quando il suo direttore per la prima volta si rifiuterà di pubblicare una sua intervista: quella ad un generale che cosi commenterà le stragi del 1993 in Italia: dietro l’attentato di Firenze c’è una specie di Spectre, un gruppo clandestino che vuole prendere il potere in Italia. Dice che di mezzo ci sono personalità importanti, politici, un industriale di Milano. Ci sarebbe pure un americano, un mezzo americano. Dice che hanno un piano, che usano la mafia per seminare il panico e poi andare al potere. 
La sensazione è che l’autrice in questo libro abbia scelto di dire e non dire. Abbia avuto quella spinta tutta pasoliniana, che fa intuire al lettore: io so, ma non ho le prove. Abbia inoltre voluto mischiare le carte, spiazzando il lettore così come, con molta probabilità, vollero fare i mandanti di quelle stragi. E l’abbia fatto spinta dall’esigenza di raccontare, in queste 143 pagine, una storia immaginata, uscita dalla sua fantasia e della penna di cronista/testimone, che ha lasciato molti interrogativi irrisolti, ombre e coincidenze sfortunate, cui questo mestiere in Italia non può ancora dare risposta. Nella sua prefazione al libro, il magistrato Alfonso Sabella, infatti scrive: la protagonista di questo romanzo di fantasia, che trae spunto dalla strage dei Georgofili a Firenze, non è a caso una giornalista americana. 
Forse solo una persona non soggetta alle ferree e pure necessarie regole dell’attività giudiziaria, ma soprattutto libera, anche perché estranea a condizionamenti esterni poteva approfondire la vicenda con arguzia, acume e una consistente dose di spregiudicatezza. Forse solo un corrispondete estero potrebbe andare avanti nell’approfondire, in piena autonomia, un’inchiesta cosi delicata. Un giudizio duro, una amara conclusione, quella tratta dal magistrato, che la dice lunga sul giornalismo in questo Paese, sulle responsabilità delle stragi del ’93, e sul canale che lega, all’ombra di verità nascoste, le une alle altre.

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