Costruire la pace attraverso il diritto. Il ruolo della Corte Penale Internazionale
Sommario: 1. L’invasione dell’Ucraina e la Corte Penale Internazionale – 2. Il crimine di genocidio – 3. I crimini contro l’umanità e i crimini di guerra – 4. Un nuovo Tribunale ad hoc per il crimine di aggressione all’Ucraina? – 5. Una riflessione conclusiva da una prospettiva giusfemminista.
1. L’invasione dell’Ucraina e la Corte Penale Internazionale
In questi giorni terribili, in cui la forza delle armi sembra avere del tutto oscurato e sconfitto il principio di legalità, è opportuno chiedersi se la Corte Penale Internazionale possa svolgere un ruolo di riconoscimento delle responsabilità per i crimini commessi nel corso dell’invasione dell’Ucraina e per l‘invasione stessa, un’aggressione illegittima e non provocata, che ha già causato migliaia di morti anche tra la popolazione civile, ivi compresi tanti, troppi bambini e bambine.
La Corte Penale Internazionale (CPI) è stata istituita a seguito dell’approvazione nel 1998 del c.d. Statuto di Roma, che stabilisce l’elenco dei crimini di sua competenza e le sue regole di funzionamento. Si tratta della prima Corte Penale Internazionale con competenza generale, mentre le Corti che hanno giudicato i crimini commessi nella ex-Jugoslavia[1], in Ruanda,[2] a Timor Est[3] e in Sierra Leone[4] erano Tribunali ad hoc, istituiti post-factum.
I crimini che rientrano nella giurisdizione della CPI sono i c.d. core crimes – genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra – ed inoltre il crimine di aggressione. Mentre i core crimes proteggono diritti fondamentali delle persone coinvolte nel conflitto, il crimine di aggressione è per eccellenza il crimine contro la pace, ed insieme ai core crimes costituisce la stessa ragione d’essere della Corte Penale Internazionale. Tuttavia per il crimine di aggressione l’attivazione della giurisdizione della Corte è sottoposta a limiti molto restrittivi, come si dirà meglio più avanti. Si tratta di un grave vulnus alla potenziale efficacia dell’azione e delle decisioni della Corte, che già spinge taluni, tra cui il Presidente Zelenski, a chiedere l’istituzione di una Corte ad hoc competente per l’aggressione all’Ucraina.
Il Procuratore Generale della Corte, il britannico Karim Asad Ahmad Khan, ha aperto un’indagine per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.[5] Anche soltanto in base alle notizie provenienti da open sources, emerge che i bombardamenti russi hanno colpito zone residenziali lontane da obiettivi militari, edifici pubblici e ospedali, tra cui l’ospedale pediatrico di Mariupol, e perfino colonne di cittadini in fuga dopo l’apertura di corridoi umanitari o in fila per il pane.
L’enorme quantità di bersagli civili colpiti in queste settimane di guerra è già sufficiente a dimostrare che non si è trattato di errori, ma di una strategia di attacco – peraltro tristemente sperimentata in Siria[6] – che mira a terrorizzare la popolazione e indurla alla resa.
Occorre chiedersi perché, almeno in queste due e in altre guerre recenti o ancora in corso come quella in Yemen, i bombardamenti e gli attacchi armati abbiano sistematicamente colpito, al pari degli obiettivi militari e dei luoghi della produzione di beni materiali, anche i luoghi della riproduzione sociale, cioè le case, le scuole, gli ospedali.
Proprio questi luoghi vengono oggi individuati, consapevolmente o inconsapevolmente, come la riserva di energia di una popolazione, ciò che in definitiva la rende più forte e coesa. Quelli della riproduzione sociale sono i luoghi in cui alberga quel senso profondo della vita che costituisce la più irriducibile opposizione alla violenza. Forse per questa ragione proprio quei luoghi diventano i bersagli privilegiati, ciò che è necessario abbattere, sfigurare, sventrare, per affermare il dominio del più forte.
Dunque, vi sono certamente i presupposti indiziari per l’inizio di un’indagine penale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nel frattempo si è attivata anche la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), organo dell’ONU,[7] sulle accuse di genocidio ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio.[8] Nella sua richiesta alla CIG di attivare un procedimento contro la Federazione Russa, l’Ucraina ha affermato di essere stata accusata falsamente di avere compiuto atti di genocidio nelle regioni separatiste di Luhansk e Donetsk nel 2014 e successivamente, e ha chiesto misure provvisorie contro la Russia.
Nel suo ricorso l’Ucraina ha accusato la Federazione russa di pianificare atti di genocidio in Ucraina, nonché di uccidere intenzionalmente ed infliggere lesioni gravi ai membri della nazionalità Ucraina. Le misure provvisorie sono poi state adottate il 16 marzo scorso, quando la CIG ha ordinato alla Federazione russa di assicurare che qualsiasi unità militare o irregolare da essa diretta o sostenuta, e qualsiasi organizzazione o persona che possa essere soggetta al suo controllo o alla sua direzione, si astenga dal compiere atti di aiuto alle operazioni militari in corso.[9] Il crimine di genocidio è dunque implicato nell’azione sia della CPI sia della CIG.
2. Il crimine di genocidio
Il termine “genocidio” fu coniato per descrivere i crimini commessi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. La definizione giuridica fu formulata per la prima volta nel 1948, nella Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio. Il delitto è definito dall’art. 1 della Convenzione come atto commesso con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, sia che venga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra.
In base all’art. 2 della Convenzione, “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.
La definizione di genocidio è stata trasfusa negli Statuti delle Corti ad hoc, e poi nello Statuto della CPI.[10] Oltre all’elemento oggettivo, è necessario che esista “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. L’intento di commettere genocidio può essere dedotto da fatti e circostanze rilevanti, come la commissione di altri atti diretti sistematicamente contro un gruppo, la dimensione delle atrocità commesse, il fatto di prendere di mira sistematicamente certi individui per il fatto di appartenere al gruppo in questione, o la ripetizione di atti distruttivi o discriminatori.[11]
Al fine di valutare l’esistenza del crimine di genocidio o del tentativo di genocidio nelle regioni separatiste del Luhansk e del Donetsk, occorrerebbe provare innanzi tutto che le comunità asseritamente prese di mira costituiscano un gruppo protetto, ovvero che abbiano un’identità distinta da quella dei presunti aggressori dal punto di vista nazionale, etnico, razziale o religioso. Già tale presupposto sembra difficile da rintracciare, poiché è scontato che tra ucraini e separatisti russofoni non vi è una diversa identità etnica né razziale né religiosa.
Quanto alla diversa identità nazionale, considerare le comunità separatiste come entità nazionali diverse dall’Ucraina equivarrebbe a considerare legittimo il recente riconoscimento di Mosca delle regioni separatiste come repubbliche autonome, e fare retroagire il presupposto della diversa identità nazionale alla situazione del 2014.
Inoltre occorrerebbe provare, oltre ai fatti materiali, anche il dolo specifico consistente nell’intenzione di distruggere in tutto o in parte le comunità russofone. Benché sia probabile che nelle regioni separatiste siano stati commessi atti di violenza da entrambe le parti in conflitto, allo stato delle conoscenze non sembra che le dimensioni e la qualità di tali fatti possano configurare il crimine di genocidio o di tentato genocidio ai danni di popolazioni russofone.
In ogni caso nel 2014 era stata aperta un’inchiesta della Procura CPI, i cui risultati verrano ora utilizzati nell’ambito della più vasta indagine ora annunciata dal Procuratore, che dovrà necessariamente estendersi a tutti gli atti diretti contro la popolazione commessi nel territorio dell’Ucraina, e alla loro qualificazione giuridica, ivi compreso il crimine di genocidio.
3. I crimini contro l’umanità e i crimini di guerra
I crimini contro l’umanità sono elencati e parzialmente definiti dallo Statuto di Roma. La lista comprende l’omicidio, lo sterminio, la riduzione in schiavitù anche nel contesto della tratta di esseri umani, la deportazione, l’imprigionamento o altre forme di privazione della libertà, la tortura, lo stupro e altre forme di violenza sessuale, la persecuzione di un gruppo, la sparizione forzata, l’apartheid, e altri atti inumani diretti a provocare intenzionalmente gravi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale. Il presupposto oggettivo dei crimini contro l’umanità è che essi siano commessi come parte di un attacco diffuso o sistematico contro una popolazione civile per ragioni nazionali, politiche, etniche, razziali o religiose, laddove “diffuso” si riferisce alla sua natura su larga scala, e “sistematico” alla natura organizzata degli atti di violenza e alla improbabilità che essi siano accaduti in modo casuale.[12] L’elemento soggettivo è costituito dalla conoscenza da parte dell’imputato del contesto, e del fatto che i propri atti formano parte dell’attacco, senza necessità che il colpevole condivida i propositi o i fini del più ampio attacco.[13] Inoltre l’elemento psicologico non deve necessariamente coprire l’elemento addizionale che il fatto sia commesso per ragioni nazionali, politiche, etniche o razziali o religiose, vale a dire che non deve essere provato uno specifico intento discriminatorio.
Con riferimento all’elemento oggettivo, nel caso dell’invasione dell’Ucraina le informazioni provenienti dalle open sources portano a ritenere – come si è già detto – che gli attacchi alle popolazioni civili, in specie i bombardamenti contro obiettivi non militari quali quartieri residenziali e ospedali, per essere stati compiuti su larga scala e in modo organizzato, non possano essere considerati casuali. In relazione alla punibilità dei colpevoli, di particolare importanza è la prova della responsabilità non solo dell’autore materiale degli atti, ma anche dei superiori gerarchici. In proposito l’art. 28 dello Statuto di Roma prevede due presupposti della punibilità dei capi. Il primo è che l’imputato sia un comandante militare, ovvero che lo stesso abbia agito di fatto come un comandante militare. In secondo luogo, si richiede che le forze armate siano sotto il suo effettivo comando o autorità, e controllo. Il comportamento omissivo rilevante ai fini dell’attribuzione della responsabilità penale si verifica quando l’imputato non ha esercitato un controllo adeguato sulle forze armate a lui sottoposte, ovvero ha omesso di prendere le misure necessarie e ragionevoli in suo potere per prevenire la commissione del crimine contro l’umanità, o per reprimerlo, o per presentare la questione alle autorità competenti per le indagini e l’azione penale. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, il dolo consiste nel fatto che l’imputato conosceva, o che avrebbe dovuto avere conoscenza degli atti criminali che le forze a lui sottoposte stavano per commettere. Orbene, nel caso dell’Ucraina la più alta autorità statale della Federazione russa, nella persona del Presidente Putin, ha pubblicamente rivendicato l’invasione – sia pure denominata “operazione speciale” – annunciandone a più riprese la prosecuzione. Per quanto riguarda i singoli crimini, vanno applicati i sopra indicati criteri di attribuzione di responsabilità penale lungo la catena di comando, fino ai più alti livelli della gerarchia militare e statale.[14]
I crimini di guerra sono numerosi e dettagliatamente elencati nello Statuto di Roma. Rispetto ai crimini contro l’umanità, i crimini di guerra presentano il diverso elemento materiale consistente nel nesso tra il presunto crimine e il conflitto armato. Con riferimento all’invasione dell’Ucraina, i crimini che vengono soprattutto in evidenza sono quelli previsti dall’art. 8 lett.(i) “dirigere deliberatamente attacchi contro proprietà civili e cioè proprietà che non siano obiettivi militari e (iv) lanciare deliberatamente attacchi nella consapevolezza che gli stessi avranno come conseguenza la perdita di vite umane tra la popolazione civile, e lesioni a civili o danni a proprietà civili ovvero danni diffusi, duraturi e gravi all’ambiente naturale (…).
La CPI esercita la sua giurisdizione solo se lo Stato nel cui territorio è stato commesso il crimine è uno Stato parte della Convenzione. Né la Federazione russa né l’Ucraina hanno ratificato lo Statuto della Corte. Tuttavia in questo caso la giurisdizione della Corte si incardina – per i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il genocidio – a seguito dell’accettazione della giurisdizione da parte dell’Ucraina per i crimini commessi sul suo territorio, depositata nel 2014 e reiterata senza limite di tempo nel 2015.
4. Un nuovo Tribunale ad hoc per il crimine di aggressione all’Ucraina?
Diversamente, per il crimine di aggressione non sembra esistere alcuno spiraglio per affermare la giurisdizione della CPI. L’aggressione è definita dallo Statuto di Roma come “pianificazione, preparazione, scatenamento o esecuzione, da parte di una persona che sia in grado di esercitare un controllo effettivo o di dirigere l’azione politica e militare dello Stato, di un atto di aggressione che, per carattere, gravità e portata, costituisca una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite.”
La Risoluzione dell’Assemblea Generale 3314, nel 1974, aveva definito l’atto di aggressione come “l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato o in ogni altra maniera contraria alla Carta delle Nazioni Unite”. Azioni qualificanti l’aggressione sono l’invasione o l’occupazione militare, il bombardamento, il blocco dei porti e delle coste, l’invio di bande di mercenari. E’ evidente la rilevanza del crimine di aggressione nella situazione attuale della guerra in Ucraina.
Tuttavia il crimine di aggressione fu incluso nello Statuto di Roma in un clima molto conflittuale, giacché alcuni Stati si opponevano alla sua introduzione. D’altra parte occorre ricordare che Stati Uniti, Russia e Cina non hanno ratificato lo Statuto. Il compromesso finale fu che l’attivazione della giurisdizione della Corte per il crimine di aggressione sarebbe stata rinviata a successivi emendamenti allo Statuto. In base ai c.d. emendamenti di Kampala adottati nel 2017, dopo quasi venti anni dall’apertura alla firma dello Statuto, la giurisdizione per il crimine di aggressione è stata attivata con la Risoluzione dell’Assemblea degli Stati parte del 15/12/2017, entrata in vigore il 17/07/2018.
Tuttavia il testo emendato dello Statuto sottopone l’attivazione della giurisdizione a limiti molto ristretti, e sembra pertanto scontato il difetto di giurisdizione della CPI per il crimine di aggressione.[15] L’istituzione di una Corte ad hoc sembra allo stato l’unica opzione praticabile se si vuole sottoporre a giudizio l’aggressione all’Ucraina in quanto tale, al di là dei singoli crimini commessi nel corso dell’invasione.
La soluzione avrebbe l’aspetto negativo di delegittimare la CPI, proprio nel momento in cui il Procuratore assume un’iniziativa tempestiva sul conflitto in corso. Inoltre sulle Corti ad hoc ha gravato l’ipoteca di essere istituite post-factum, e dunque di sottrarsi al principio fondamentale di diritto penale nullum crimen sine lege.
Per la verità a partire dall’istituzione del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, è stato verificato che tutte le norme incriminatrici avessero un riscontro in norme precedentemente contenute nel diritto internazionale e nel diritto interno dei principali sistemi legali. Da questo punto di vista, dunque, e date le drastiche restrizioni imposte alla CPI sul crimine di aggressione, l’istituzione di una Corte ad hoc potrebbe essere accettabile.
Tuttavia tale soluzione non sembra allo stato indispensabile. Infatti, in base allo Statuto di Roma e alla giurisprudenza delle Corti Internazionali, in particolare della ICTY, la responsabilità di comando per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra può raggiungere – e di fatto ha raggiunto – i più alti livelli della gerarchia militare e dello stesso ordinamento statale.[16]
5. Una riflessione conclusiva, in una prospettiva giusfemminista
Il femminismo si è storicamente impegnato per l’accertamento e la punizione dei crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro le donne durante i conflitti e in tempo di pace. A seguito delle atrocità commesse in Bosnia, nello Statuto di Roma sono stati introdotti i delitti di stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza di gravità comparabile.[17]
Il femminismo ha dato un contributo rilevante al riconoscimento di un fatto che è oggi patrimonio della coscienza collettiva, vale a dire che le guerre contemporanee prendono di mira soprattutto i civili, e tra questi le donne, che sono colpite da forme efferate di violenza sessuale, vere e proprie armi di guerra di particolare potenza in quanto volte a distruggere la coesione e dunque a indebolire drammaticamente le comunità avversarie.
È opportuno in proposito ricordare che gli stupri e i delitti di schiavitù sessuale commessi durante la seconda guerra mondiale sono stati oggetto di una rimozione collettiva per decenni, e che solo recentemente sono stati sottratti all’oblio, grazie anche all’impegno femminista.
In questo processo di ricerca della verità, la richiesta di riconoscimento di quanto era accaduto allora, e quanto è accaduto poi nella ex Jugoslavia, in Ruanda, in Congo, in Iraq e in Siria – per citare solo alcune delle guerre recenti – e l’accertamento delle relative responsabilità, sono stati e restano tuttora le rivendicazioni centrali delle vittime e delle associazioni di donne che le hanno sostenute. Solo ristabilendo la verità, infatti, è possibile ricostruire una prospettiva di pace e di convivenza. La straordinaria esperienza della Commissione per la verità e la riconciliazione in Sudafrica[18] ne è un esempio storico.
Il pensiero femminista ha da tempo sviluppato una riflessione profonda sulla nozione di vulnerabilità come attributo di tutti gli esseri umani, che per il fatto di avere un corpo sono esposti alla ferita e alla perdita. La vulnerabilità come attributo della vita stessa, fa sì che ciascuna/o di noi sia consegnato all’altra/o, in un rapporto originario di dipendenza reciproca.[19]
L’interdipendenza di tutti gli esseri umani, resa evidente dalla globalizzazione – dai suoi grandi meriti come dai suoi grandi disastri – richiede che lo sguardo rimanga puntato sulla convivenza possibile tra persone e popolazioni diverse, ma simili quanto alla comune vulnerabilità.[20]
Se la vulnerabilità “situazionale” provocata dalla coercizione, dalla discriminazione e dallo sfruttamento[21] è la conseguenza della violenza e del dominio, la risposta deve essere un’azione fondata sulla comune e inevitabile vulnerabilità umana, e sulla solidarietà che ne è il corollario. Assistiamo in questi giorni ad un’arroganza della forza, che tuttavia si scopre meno efficace di quanto si ritenesse. I bombardamenti sui luoghi della riproduzione sociale come le case e gli ospedali, dicono che si vuole colpire la vita stessa per affermare la propria volontà con la violenza.
A questa arroganza, un’ultima manifestazione storica della politica di potenza, si deve opporre una volontà di pace. Secondo il diritto internazionale, qualsiasi popolazione ha il diritto di difendersi da un’aggressione armata. Tuttavia un canale per la risoluzione alternativa e pacifica del conflitto deve sempre essere tenuto aperto.
Nel corso dei negoziati, che si spera portino a una soluzione diplomatica in tempi non troppo lunghi – poiché ogni giorno di guerra è un giorno di sofferenza e di perdite inaccettabili – è utile che venga attivata la giurisdizione internazionale inclusa quella penale?
La costruzione di una prospettiva di pace è affidata innanzi tutto ai negoziati internazionali in corso; una soluzione possibile non deve necessariamente basarsi sullo status quo ante – del resto il Presidente Zelensky ha mostrato di essere aperto a discutere sullo statuto di neutralità del Paese – ma certamente deve basarsi sul ripristino della legalità internazionale e sulla piena sovranità dell’Ucraina. In questo percorso, quale può essere il ruolo del diritto?
Il diritto è sempre lo strumento del più debole, che una persona vulnerabile, vittima di sofferenze e perdite irreparabili, deve poter sempre invocare. Impotente dinanzi all’uso della forza su larga scala e costretto a recedere, il diritto ha tuttavia una missione da compiere: riconoscere che gli atti commessi ai danni delle popolazioni civili sono crimini, che hanno dei responsabili, mostrarli al mondo e chiamarli con il loro nome.
Solo il riconoscimento può fare sì che l’auspicata soluzione diplomatica non sia un “appeasement”, una pura e semplice ratifica del fatto compiuto attraverso l’uso della forza, foriero di ulteriori atti di aggressione, ma un accordo giusto e duraturo. Dunque, sì, la Corte Penale Internazionale ha un ruolo da svolgere anche per garantire un futuro di pace, e deve svolgerlo con il sostegno di tutti gli Stati c.d. like-minded, tra cui i Paesi europei e tra questi l’Italia, che alla fine degli anni ’90 si impegnarono per la sua istituzione.
***
Note
[1] Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, istituito il 25 maggio 1993 con la risoluzione 827 del Consiglio di sicurezza dell’ONU. E’ stata la prima Corte penale internazionale istituita dopo la Corte Penale che celebrò il processo di Norimberga, creata con l’accordo di Londra del 1945.
[2] Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (ICTR) istituito nel 1994.
[3] Special Panels della Corte del distretto di Dili, noti come Tribunale speciale per Timor Est, istituito nel 2000.
[4] Corte Speciale per la Sierra Leone, istituita nel 2002.
[6] Tra le numerose fonti, cfr. C. Del Ponte, Gli Impuniti. I crimini in Siria e la mia lotta per la verità, Milano, Sperling & Kupfer, 2018.
[7] La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) fu fondata nel 1945. A differenza della Corte Penale Internazionale (CPI), che giudica sulla responsabilità penale degli individui, la principale funzione della CIG è dirimere le controversie internazionali tra Stati membri delle Nazioni Unite che abbiano accettato la sua giurisdizione, oltre che di fornire l’interpretazione del diritto internazionale e fornire pareri all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
[9] International Court of Justice, Press Release Unofficial 16/03/2022
[10] Tuttavia nello Statuto di Roma non è stata riprodotta la punibilità della cospirazione per commettere genocidio.
[11] Cfr. fra le altre, ICTR, Ndindiliyimana et al. Trial Judgement, para 2073, che richiama ICTR, Bagosora et al. Trial Judgement, para 2116; ICTR, Sereomba Appeal Judgement, para 176.
[12] ICTR, Ndindiliyimana et al. Trial Judgement, para 2087, che richiama fra gli altri ICTY, Kunarac et al. Trial Judgement paras 428-429; ICTY, Kunarac Appeal Judgement, para. 94.
[13] ICTR, Ndindiliyimana et al. Trial Judgement para 2088, che richiama ICTR, Setako Trial Judgement para 476; ICTR Bagosora et al. Trial Judgement, para 2165; ICTR, Media Appeal Judgement, para 920.
[14] Il 24 marzo 2016, la III Camera della ICTY ha condannato Radovan Karadžić per genocidio nell’area di Srebrenica nel 1995 e per persecuzione, sterminio, omicidio, deportazione, atti disumani (trasferimento forzato) terrore, attacchi illegali sui civili e presa di ostaggi. È stato assolto per l’imputazione di genocidio in altre municipalità della Bosnia and Herzegovina (BiH) nel 1992. La Corte ha ritenuto che Karadzic abbia commesso questi crimini attraverso la sua partecipazione in quattro JCEs (Imprese criminali collettive): la prima comprendeva un piano comune per rimuovere i Bosniaci Musulmani e I Bosniaci Croati dai territori che i Serbo-bosniaci reclamavano per sé, attraverso la commissione di delitti in varie municipalità del territorio della BiH; la seconda aveva lo scopo di sviluppare una campagna di tiri mirati e e bombardamenti contro la popolazione civile di Sarajevo, volta a seminare terrore tra i cittadini; la terza impresa criminale aveva lo scopo di prendere in ostaggio personale dell’ONU allo scopo di costringere la NATO a cessare i bombardamenti aerei contro bersagli serbo-bosniaci; la quarta aveva lo scopo di eliminare i Bosniaci Musulmani di Srebrenica nel luglio 1995. La sentenza ha ritenuto la responsabilità di Milosevic anche come capo militare e superiore gerarchico, e dunque ha attinto la più alta autorità statale della Republika Serpska, di cui dal dicembre 1992 Karadzic era stato Presidente e Comandante delle Forze armate.
[15] C. Pividori, Crimine di aggressione, Dossier del Centro Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università degli Studi di Padova.
[16] Cfr. n particolare, le imputazioni elevate contro Slobodan Milosevic (IT-02-54), Presidente della Repubblica Federale di Yugoslavia dal 1997 al 2000 e deceduto nel 2006 prima della sentenza. Cfr. anche la decisione di primo grado e di appello contro Radovan Karadzic, cit..
[17] I crimini di violenza sessuale perpetrati durante la guerra nella ex Jugoslavia sono stati giudicati dal Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia (ICTY). In un documento preparato da quella Corte nel 2010, si afferma che la metà dei capi d’accusa del Tribunale riguardava atti di violenza sessuale, e la maggioranza di tali accuse aveva portato a condanne non soltanto degli esecutori materiali, ma anche, per complicità o responsabilità di comando, di comandanti di centri di detenzione, di comandanti militari intermedi, come di quelli posti ai vertici della catena gerarchica di un esercito o di autorità civili locali e centrali, e perfino dei quelle poste al vertice dell’organizzazione statale. Risultati analoghi si sono registrati dal Tribunale per il Ruanda e dalla Corte Speciale per la Sierra Leone.
[18] La Truth and Reconciliation Commission fu fondata nel 1995, ed ebbe la propria sede a Città del Capo. Il mandato era di raccogliere e registrare le testimonianze di coloro che si erano resi colpevoli di violazioni dei diritti umani durante il regime dell’apartheid, o di coloro che erano stati le vittime di tali violazioni, con la possibilità di concedere l’amnistia a chi avesse confessato i suoi crimini.
[19] J. Butler, Precarious life. The powers of mourning and violence, Trad. it. Vite Precarie. Contro l’uso della violenza come risposta al lutto collettivo, Roma, Meltemi.
[20] Il pensiero femminista recente ha molto lavorato sulla nozione di vulnerabilità, facendone la base di una critica al soggetto di diritto neutro, astratto e indipendente Cfr. in particolare M. Fineman, The Vulnerable Subject and the Responsive State, in Yale Journal of Law and Feminism, 20/2008, 1; Pariotti, Vulnerabilità e qualificazione del soggetto: implicazioni per il paradigma dei diritti umani, in O. Giolo, B. Pastore, Vulnerabilità. Analisi multidisciplinare di un concetto, Roma, 2018. B. Pastore, Viola, Zaccaria, Le ragioni del diritto, Bologna, 2017; M.G. Bernardini, Disabilità, giustizia, diritto. Itinerari tra filosofia del diritto e Disability Studies, Torino, 2016.
[21] M.G. Giammarinaro, L. Palumbo, Vulnerabilità situazionale, genere e diritti umani, in G. Gioffredi, V. Lorubbio, A. Pisanò (a cura di), Diritti umani in crisi? Emergenze, disuguaglianze, esclusioni, Pacini Giuridica.
* Magistrata in pensione, già United Nations Special Rapporteur on trafficking in persons especially women and children
Fonte: Giustizia Insieme
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