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“La questione è più complessa”: come stare con don Rodrigo e non con Renzo

Nando dalla Chiesa il . Cultura, Diritti, Politica, Società

Ora ho capito. Ho capito perché provo da sempre un’istintiva ripulsa (meglio, un fastidio a pelle) quando sento dire che “la questione è più complessa”.

Non è solo perché la formula vorrebbe assicurare a chi la pronuncia uno status intellettuale più alto di quello dell’interlocutore: io complesso, tu semplice. Ma anche perché tradisce spesso una codardia di fondo. Un’assenza di coraggio nel prendere le parti del più debole che ha ragione. E, al tempo stesso, nello schierarsi apertamente con il prepotente o il vigliacco di turno. Né con Renzo né con don Rodrigo, insomma, per stare alla fine con don Rodrigo.

E in effetti: se Renzo non si fosse incaponito nel volersi sposare con Lucia anziché rispettare gli antichi e pacifici equilibri di quel ramo del lago di Como, ben sapendo che non avrebbe comunque potuto scardinarli, quante ansie e quante sofferenze avrebbe risparmiato alla donna che pur diceva di amare? E inoltre: quali possibilità di vita ricca e rispettata le ha negato con la sua egoistica ostinazione?

E lo stesso don Abbondio, sì, lui, perché avrebbe dovuto ribellarsi all’intimazione dei bravi? Forse per sottrarsi all’ordine naturale delle cose, che può essere cambiato solo lavorando di cultura e diplomazia e non certo mettendo il potere spirituale contro il potere temporale, di ciascuno dei quali il focoso Renzo Tramaglino era un inconsulto e velleitario contestatore?

Il Manzoni…Già, il suo italianissimo romanzo. Chissà se immaginava, il grande scrittore, che quella sua idea che “la ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto” avrebbe significato, secoli dopo, che il torto può diventare ragione e viceversa. Chissà se avrebbe immaginato di vederla consacrata nella teoria della complessità, in nome di due sublimi pensatori come Luhman e Morin, per sublimare a sua volta la codardia.

Ed è in nome della complessità del contesto che prendono a mulinare nelle menti gli interrogativi. Anche al passato.

Perché Ho Chi Min non si arrese al nemico americano, che aveva pure le sue ragioni, con quei movimenti comunisti che brulicavano nel mondo, e preferì mandare al macello i suoi compatrioti, farli morire nel napalm, per trarne poi gloria sulla loro pelle? Davvero fu l’eroe della liberazione vietnamita?

E perché Salvador Allende, che certo aveva presente il pericolo di un colpo di Stato se avesse nazionalizzato le miniere di rame in Cile, volle proseguire il suo folle progetto pur avendo visto che cosa era accaduto con i militari in Brasile e Paraguay? Perché portò il suo popolo in braccio ai massacratori di Pinochet? D’altronde forse proprio per questo si uccise: per il rimorso del male che aveva fatto al suo Paese.

Quanto la storia è più complessa di quel che a volte ci piace credere, a noi semplici. Anche quando ci schieriamo con i movimenti di liberazione, tipo la decolonizzazione algerina o la stessa Resistenza italiana.

Forse che non sappiamo che entrambe produssero sangue ingiusto? E di chi fu d’altronde la colpa delle Fosse Ardeatine? Davvero dei tedeschi invasori o non piuttosto dei partigiani che facevano attentati per ragioni politiche? E alla fine, in fondo, di chi fu la vera colpa di Marzabotto?

E che dire dei delitti di mafia? Già, di chi è stata la colpa? Davvero della mafia o non piuttosto di uno Stato indisposto a riconoscere la legittimità di un potere antico che lo superava in consensi e chiedeva solo di essere lasciato in pace nelle proprie terre? E in ogni caso, come ci si può schierare con uno Stato che non rispetta le sue stesse leggi e corrotto fino al midollo? Perché far morire inutilmente scorte di proletari meridionali per difenderlo da Totò Riina?

La complessità codarda avanza interrogando e sfidando l’intelligenza dei semplici. Ha solo dimenticato per strada due parole: dignità e libertà. Per questo parla come i dittatori.

* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 14/03/2022

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