Giustizia, pena e i mafiosi non pentiti
Il principio dello scopo rieducativo della pena è sacrosanto. Ma può valere per chi, come i mafiosi non pentiti, non ha dato prova di volersi reinserire in società?
Il Parlamento ha ancora un paio di mesi per approvare una legge che recepisca le linee indicate dalla Consulta in tema di ergastolo ostativo con un’ordinanza del 15.4.2021. Non è impresa facile: perché da un lato la Consulta ha stabilito che la collaborazione di giustizia (alias pentimento) non può essere “conditio sine qua non” per la concessione di benefici al mafioso ergastolano; ma nello stesso tempo ha riconosciuto che la collaborazione è un valore da preservare; il tutto entro un quadro di riconoscimento della “specificità” della mafia rispetto alle altre condotte criminali associative.
In attesa delle scelte (non facili, ripeto) del parlamento, c’è ancora spazio per una riflessione sui principi che devono orientare tali scelte.
Nel post precedente abbiamo visto che secondo l’ordinanza citata l’ergastolo ostativo per i mafiosi non pentiti è incostituzionale per violazione di tre norme: gli artt. 3 e 27 Costituzione e l’art. 3 della Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali). Nello stesso post abbiamo trattato le questioni che si possono porre con riferimento all’art. 3 Costituzione. Occupiamoci ora dell’art. 3 Cedu, secondo cui nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.
Al riguardo si potrebbe osservare che l’angoscia del “fine pena mai” va rapportata alla realtà della condizione carceraria dei mafiosi, che è ben lontana dalla tortura, come dal trattamento inumano e degradante.
Uno spaccato della situazione si trova nel volume “Lo stato illegale – Mafia e politica da Portella della Ginestra ad oggi” (G.C. Caselli e G. Lo Forte, ed. Laterza, 2020), dove risulta fra l’altro che ai mafiosi carcerati “spetta” un “mensile” per le spese correnti; e che un boss può arrivare a spendere somme imponenti al mese per avvocato, vestiti, ‘libretta’ e colloqui”. Ancorché al 41 bis, proprio una vita grama non è. Certo si tratta di uno spaccato che non fotografa la condizione carceraria dei mafiosi in tutta la sua complessità, ma è quanto basta per dubitare fortemente che si possano utilizzare le categorie della tortura o dei trattamenti vietati dalla Cedu.
Fonte: Micromega, il blog di Gian Carlo Caselli, 10/03/2022
*****
Trackback dal tuo sito.