«Niente scontri tra toghe e religiosi ma fronte comune contro l’illegalità»
«Confidiamo nel “patto” di Don Mimmo ma i fatti denunciati sono gravissimi»
La puntuale ricostruzione fatta da Valentino Di Giacomo, sulle pagine del Mattino, in merito alla vicenda relativa alle statue del 600 concesse per decenni ad uso esclusivo della suocera di un capo clan dell’Alleanza di Secondigliano, e ancor più la notizia di riunioni di affiliati alla camorra svolte in locali appartenenti alla chiesa, riapre un delicatissimo tema che merita riflessioni profonde.
Intanto su alcuni aspetti di una cosiddetta religiosità popolare, con manifestazioni e processioni, che viene abilmente e strumentalmente utilizzata da settori della malavita per accreditarsi, ingannevolmente.
Nobile e doveroso gesto quello compiuto dal vescovo Battaglia, poco dopo il suo arrivo, nel sostituire quadri con rappresentazioni sacre in una chiesa di Marano, ma dissacrate da dediche di famiglie mafiose. Fu un gesto importantissimo, cui plaudii, anche in difesa di chi l’aveva compiuto contro incredibili attacchi ricevuti.
Ma c’è da fare molto di più. E grazie anche all’azione della magistratura ed alle denunce del Procuratore Giovanni Melillo e del Procuratore generale Luigi Riello. Alla luce di quei fatti si capiscono meglio tante cose e non si può ridurre la discussione a una polemica tra chiesa e magistratura.
Non si tratta di una diatriba ideologica. I fatti denunciati sono gravissimi proprio perché mettono ancora una volta in luce l’uso strumentale che dalla camorra viene fatto di forme di una religiosità popolare, piegata a suo uso e consumo, per accrescere il consenso, fino ai famosi inchini delle statue in processione davanti alle case dei boss o al fiorire di altarini a devozione di famiglie di mafia, giustamente smantellati.
Tutti ci dobbiamo interrogare di più e non può essere solo compito della Chiesa. Certo ci potranno essere state ingenuità da parte di chi è stato ingannato nel credere che certe manifestazioni fossero dettate da un autentica religiosità popolare, invece chiaramente strumentalizzata. Bene le denunce, bene le inchieste che gettano luce. Benissimo l’impegno pastorale di chi promuove non solo manifestazioni di fede autentica, ma s’impegna a favore di un’azione educativa rivolta ai giovani, di grande spessore, con la quale concordiamo.
Ricordando l’anatema di Giovanni Paolo II ad Agrigento, dopo l’incontro con i genitori del giovane magistrato Livatino, ucciso dalla mafia, mi viene in mente che dovunque, nelle chiese, ma anche in altri luoghi pubblici bisognerebbe trascrivere la sua frase: «Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili!». E questa credibilità va rivendicata attraverso un’azione di testimonianza e di azioni concrete.
Anche nel nome di Don Peppe Diana, Don Pino Puglisi, dei tantissimi sacerdoti impegnati in prima linea, che Libera ricorderà ed onorerà nella giornata della memoria e dell’impegno per tutte le vittime di criminalità che si svolgerà a Napoli il 21 marzo.
Ma c’è bisogno di un impegno sul piano culturale ed educativo in nome di Patti educativi territoriali. Per far vivere i temi di verità e giustizia, per professare valori di solidarietà e cultura.
E per sgominare anche l’uso che la camorra strumentalmente fa di una religiosità popolare malintesa o di messaggi subculturali devianti non solo attraverso manufatti illegali, ma anche attraverso i social e forme di comunicazione neomelodica asservita e varie rappresentazioni.
Quindi la battaglia culturale deve essere a tutto campo e deve coinvolgere tutti gli agenti della società istituzionale e civile, che voglia essere credibile
* Presidente AsCenDeR e pr. Onorario Fondazione Giancarlo Siani Onlus
Fonte: Il Mattino
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