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Carcere, la necessità di un rinnovamento

Di Stefano Fantino il . Umbria

Davanti a un sistema carcerario inesorabilmente avviato a un collasso, l’auspicio di vederlo come extrema ratio diventa un’eventualità davvero poco realistica, anche se sempre più necessaria. La mancanza di investimenti e di una pianificazione anche politica e legislativa seria fanno maturare, in molti, dubbi e perplessità riguardante la vera volontà di affrontare seriamente un problema, reso ogni anno più evidente dall’alto numero di morti e suicidi. Per non parlare della situazione di vita quotidiana che molti carcerati affrontano tra aspre difficoltà, sempre in bilico tra una dicotomia di approccio al valore rieducativo e di reinserimento proprio del carcere. 
Il valore responsabilizzante del carcere, fondata sulla fiducia in sé stessi, è quasi sempre sostituito da un approccio re-infantilizzante, dove la vita del detenuto è gestita da altri. Peraltro su una struttura legislativa e organizzativa vetusta che individua uno stereotipo del carcerato ben diverso da quello contemporaneo, elemento, questo di fondamentale importanza anche in vista di un percorso di reinserimento nella società. Tuttavia le risposte a questi complessi quesiti sono forzature che guardano al carcere solo come complesso edilizio da implementare per contenere il maggior numero possibile di “ospiti”, anche questo in barba allo stato attuale ma con canoni e precetti ottocenteschi. «Una responsabilità della politica, incapace di riforme » ha sintetizzato Patrizio Gonnella, dell’associazione Antigone, con riferimento alla caduta di quelle forme di partito di massa che fino a vent’anni erano capaci di creare riforme, spiegando all’elettorato i risvolti delle stesse, e non, come attualmente fa la politica, di sfruttarne la “pancia” e le “paure” dell’elettorato. Al punto che le sfide sul sistema carcerario diventano solo questioni di edilizia, di poliziotti, salvo bruschi risvegli come quelli dopo il “caso Cucchi”. 
La dura realtà degli Opg, raccontata dalla voce della dottoressa Rosa Alba Casella, il problema della sanità giudiziaria, passata, recentemente da una gestione interna a una competenza delle Asl, sono solo tasselli già di per sé complicati di un mosaico che sarebbe delittuoso liquidare in generalizzazioni e soluzioni estemporanee. Eppure non si rilevano le possibilità che le pene alternative potrebbero garantire al miglioramento della situazione carceraria soprattutto in riferimento a detenzioni della durata di pochi anni. Per i tossicodipendenti, una risoluzione non detentiva magari in cambio dell’accettazione di un percorso di cura, potrebbe risolvere difficili questioni di convivenza e ambientamento; senza ignorare la situazione delle donne, minoranza sfortunata, e difficilmente assecondata nelle sue umane necessità di affettività. Con fermo e chiaro sempre in testa il fondamentale lavoro che deve essere fatto per permettere non solo la prevenzione del reato ma soprattutto della recidiva, dando realmente un valore formativo al carcere per il recupero e il reinserimento sociale dopo la fine della pena.

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