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I diritti negati dei migranti

Di Norma Ferrara il . Umbria

“Abolire la Bossi – Fini andare oltre la Turco – Napolitano”. Con questo intento cinque anni fa, si è dato il via nell’edizione di “Strada Facendo2” alla riflessione del cantiere di lavoro in materia di diritti dei migranti e accoglienza. Oggi a Terni la sensazione  è che qualcosa sia cambiato da allora. In peggio. Dall’approvazione del pacchetto sicurezza, l’immigrazione clandestina nel nostro Paese è reato. Non solo quindi in questi anni nessun nuovo diritto è stato affermato, ma in buona parte molti altri sono stati negati. Nel cantiere di lavoro della seconda giornata di Strada Facendo 4  hanno preso la parola coloro che ogni giorno vivono la  ricchezza e la complessità dell’incontro con l’altro. In un dibattito coordinato da Tonio dell’Olio e da Andrea Morniroli oggi si è dato il via ad un confronto intenso e ricco di testimonianze che hanno portato all’elaborazione di alcune analisi e proposte che confluiranno nell’assemblea plenaria di domani al Palatennistavolo della città.

E’ Tonio dell’Olio, in un passaggio della sua “lettera aperta”, a parlare subito di “dignità respinte da porte che non si aprono” ricordandoci in particolare quanto gli Stati più ricchi abbiano sottratto al continente africano con una mano mentre con l’altra chiudevano le porte in faccia alle tante dignità in cammino dall’Africa al resto del mondo. Ad aggravare la situazione – ci racconta il delegato della Asgi, l’avvocato Francesco Di Pietro, l’attuale legislazione che “ha portato ad un nuovo allontanamento fra i migranti e le pubbiche amministrazioni. Dall’approvazione del pacchetto sicurezza c’è stato ad esempio un calo dell’accesso ai servizi sanitari da parte dei migranti, del 30percento”. “Servono strumenti culturali differenti – dichiara Paolo Beni dell’Arci –troppo spesso, lo dimostrano anche alcuni studi, si parla di immigrazione a prescindere dai fatti. Oggi i media, in particolare, ma anche la politica, talvolta anche a sinistra, tendono ad enfatizzare gli aspetti legati alla paura dell’altro e alle politiche della sicurezza sul versante difensivo. Oggi assistiamo ad un nuovo razzismo diffuso, non più e non solo ideologico, ma molto legato ad un disagio, spesso generato da quest’orientamento dell’opinione pubblica”.  Solo qualche settimane fa tutti i media si sono occupati del caso Rosarno, la rivolta degli immigrati lavoratori stagionali. Una lucida analisi di Don Pino De Masi di Libera ha portato all’interno dei lavori su diritti e migranti, il tema che lega a filo doppio, in gran parte del Paese, l’immigrazione, i diritti negati e la presenza soffocante delle mafie. “

“Quello che nel resto del Paese avrebbero gestito come un problema – dichiara De Masi – qui è stato piena emergenza. Da noi lo Stato è assente e questa rivolta è andata ad innescarsi su un territorio che noi definiamo quello degli “uomini senza”: senza lavoro, senza diritti, senza libertà, senza parola. Un’analisi quella di don Pino che riesce a sviscerare, storicamente e sociologicamente, l’origine e lo sviluppo del caso Rosarno, dai finanziamenti europei sulla raccolta delle arance ai nuovi parametri che non la rendono più produttiva, alla “scomoda” presenza degli immigrati: altri uomini senza, giunti da altri sud del mondo, che in terra di ‘ndrangheta avevano trovato  lavoro e un percorso di vita da continuare. “ Gli africani – commenta De Masi – hanno dimostrato di avere un senso dello Stato più alto di quello di molti cittadini di Rosarno che non si sono  ribellati al “governo locale” delle famiglie e alla mentalità mafiosa diffusa”. In questa storia che è passata alle cronache nazionali come la “rivolta degli africani” ci sono dentro molti elementi: sfruttamento, lavoro nero, ‘ndrangheta, e poi il silenzio degli altri.

“E’ importante sottolineare che i veri schiavi a Rosarno sono coloro che tacciono – chiosa De Masi. Serve fare uno scatto in avanti da parte della società civile, lasciarsi dietro mentalità mafiosa e illegalità diffusa”. Lo stanno provando a fare sempre in Calabria, a pochi chilometri da Rosarno, i cittadini di Riace e Caulonia, due paesini in cui la sofferenza e le difficoltà dell’altro si sono saldate con l’innato spirito di accoglienza dei calabresi e grazie a due amministrazioni  coraggiose, si è dato vita a percorsi innovativi, complessi con che mettono al centro: cittadini, migranti, legalità e istituzioni.  A Strada Facendo il sindaco di Caulonia, Ilario Ammendolia, parla della loro esperienza, insieme a Oliviero Alotto, di Terra del Fuoco, anche lui testimonianza di un percorso positivo nato alle porte di Torino e che sta mettendo insieme otto famiglie Rom, curando il loro  inserimento sociale, economico e culturale, su un territorio difficile.

E poi ancora la storia di Tina, una migrante nigeriana che dopo tante difficoltà, umane e burocratiche, ha trovato una rete di cittadini che in Puglia le sono stati accanto e non l’hanno lasciata sola. Nonostante la disposizioni normative, nonostante al sud tutto sia doppiamente faticoso. La sua storia la racconta oggi, con particolare sentimento, una insegnante di religione che ha scelto di non accettare un posto di lavoro nell’attuale sistema scolastico nazionale e come Tina oggi attende un probabile  inserimento lavorativo in una cooperativa sociale che nascerà in Puglia. Poi ancora Nube  Sandoval , operatrice nel consiglio nazionale per i rifugiati all’interno di progetti teatrali che mirano alla “riabilitazione” di migranti che sono stati vittime di torture. Il suo intervento, semplice e diretto, ci ricorda che i viaggi sono spesso fughe da paesi in cui si subiscono violenze, torture, in cui scenari di guerra fanno perdere dignità e rispetto per le vite umane”.

Non ci si può trovare colpevoli di reato, quello di clandestinità, solo perché si sceglie di vivere, di ricominciare in un altro luogo. Nessuna persona, in quanto tale, è illegale. 

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