Beni confiscati: la nota di Fondazione CON IL SUD sul Bando dell’Agenzia
Lo scorso maggio la Fondazione CON IL SUD ha deciso di costituire un “Gruppo di lavoro permanente sul tema dei beni confiscati alle mafie” Gruppo di lavoro, cui partecipano l’Acri e il Forum Terzo Settore, per seguire con continuità e con i necessari approfondimenti le questioni concernenti il sistema di valorizzazione e gestione dei beni. Pubblichiamo di seguito la nota di commento al bando dell’Agenzia per la coesione territoriale redatta dal Gruppo di lavoro coordinato da Luigi Lochi.
A fine novembre l’Agenzia per la coesione territoriale ha pubblicato il Bando per la valorizzazione dei beni confiscati che, in ottemperanza al PNRR, destina 250 milioni di euro agli enti territoriali nel cui patrimonio insistono immobili sottratti alle mafie. Il meccanismo di finanziamento, la cui logica non si discosta da quella dei bandi PON Sicurezza, vede i Comuni interessati unici titolati a presentare progetti di ristrutturazione dei beni. Il coinvolgimento dei soggetti del Terzo settore è puramente eventuale, lasciato alla mera discrezionalità dei Comuni. Il Bando, in verità, non fa riferimento ai soggetti del Terzo settore, ma ad un generico “coinvolgimento del partenariato istituzionale, economico e sociale e delle organizzazioni del territorio”. Nel caso in cui i Comuni dovessero coinvolgere questo generico partenariato, in tempi peraltro ristretti, anche un non esperto di tecniche di concertazione comprende bene che si tratta di una semplice dichiarazione di intenti. L’eventuale sussistenza di questa circostanza rappresenta uno dei criteri generali di valutazione al quale viene assegnato un punteggio variabile, il cui “peso”, nell’ambito dell’insieme dei criteri generali di valutazione, non può comunque incidere oltre la misura del 20%.
Le rassicurazioni del Ministro e del Direttore dell’Agenzia per la coesione, successive alle osservazioni critiche che all’indomani della pubblicazione del Bando si sono levate dal mondo del volontariato e del Terzo settore, dal punto di vista sostanziale esse non introducono alcuna innovazione. Di fatto si limitano a ribadire quanto già previsto nel Bando e nei suoi Allegati. Della indicazione espressa dal PNRR nel punto M5C2, secondo la quale “gli interventi potranno avvalersi della co-progettazione con il Terzo settore ai sensi dell’art. 55 decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117 (Codice del Terzo settore), nessuna vera traccia.
Se poi si vuole dire che la co-progettazione tra i Comuni destinatari dei beni confiscati e le realtà del Terzo settore a cui questi beni vengono assegnati per la loro gestione, si realizza tout court riconoscendo una premialità a quei Comuni che hanno già assegnato il bene ad un organismo non profit, si confonde la regola con l’eccezione. La co-progettazione non è una mera rivendicazione di spazi e di ruoli da parte del Terzo settore; essa vuol dire, in concreto, tenere insieme gli interventi di ristrutturazione con quelli di gestione. Il riferimento alla sostenibilità gestionale, nell’ambito dei criteri “specifici” di valutazione, sembra costituire un argine al rischio di slegare gli interventi infrastrutturali sul bene dalle possibili attività di gestione dello stesso. Un argine però insufficiente, in quanto si richiede esclusivamente la descrizione da parte dei Comuni del “modello di gestione”, cioè delle modalità con le quali saranno disciplinati gli eventuali rapporti tra il soggetto concedente e il soggetto concessionario del bene, senza tuttavia fare riferimento alcuno alla coerenza e congruità degli interventi strutturali rispetto alla tipologia di attività gestionali che potrebbero realizzarsi all’interno del contenitore.
Sono tanti gli immobili ripristinati in questi anni con i fondi comunitari del PON Sicurezza e ormai in pieno degrado, perché i relativi progetti hanno ignorato la concreta gestione del bene, vale a dire la precisa tipologia di attività che potevano essere svolte all’interno dell’immobile e la individuazione dei soggetti gestori. L’esperienza pugliese del bando “Libera il bene”, di qualche anno fa e ormai paradossalmente nel dimenticatoio nonostante evidentemente rivelatasi di successo, dimostra come il raccordo tra il momento dell’intervento strutturale di ripristino e quello gestionale di realizzazione delle attività sia condizione indispensabile per un uso efficace dei beni.
Poco convincente, infine, la decisione di indicare i Comuni come soggetti proponenti al fine di velocizzare la procedura. La regola della co-progettazione sarebbe stata rispettata, senza per questo immaginare tempi più lunghi, se solo nel Bando di cui si tratta fosse stato previsto l’impegno per il Comune proponente della preventiva selezione del soggetto gestore e quindi del progetto gestionale di utilizzo del bene. In questo modo la regola della co-progettazione sarebbe stata praticata come condizione generale e non invece come condizione premiale e come tale, meramente eventuale.
Questo Bando è stata una occasione persa da due punti di vista. Dal punto di vista della opportunità di considerare la valorizzazione dei beni confiscati come vera e propria leva di sviluppo economico dei territori; e dal punto di vista della opportunità di superare finalmente quella cultura politica che vede il Terzo settore non come un attore di sviluppo ma come un soggetto “residuale” nel quale far convergere due debolezze: le incapacità del pubblico e le non convenienze del privato.
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