I boss del cemento selvaggio
Circa 5000 persone sono scese in strada ad Ischia per chiedere il blocco delle demolizioni delle case abusive. Già lo scorso maggio i sindaci dell’isola avevano protestato chiedendo al Governo un decreto legislativo affinchè il terzo condono edilizio avesse efficacia sulle isole del golfo di Napoli dopo che ne sono state escluse in considerazione dell’importanza ambientale e paesaggistica delle aree.
Nello stesso giorno della protesta di Ischia, a Roma veniva presentato da senatori del Pdl un emendamento nel decreto milleproroghe che prevede ipotesi di sanatoria entro l’anno per gli abusi ambientali e paesaggistici. Altro giro, altro condono. Altri abusi. Due fatti, due notizie correlate. E non possiamo dimenticarci le minacce e le intimidazioni ai magistrati della Procura di Napoli impegnati sul fronte della repressione del cemento selvaggio.
Tira una brutta aria. Sono poche ed isolate le voci che si sono alzate indignate a difesa dei magistrati e contro il ritorno in grande stile della stagione delle betoniere , del calcestruzzo e del cemento. E’ proprio il caso di dirlo:siamo in un paese senza memoria. Siamo il paese della illegalità sostenibile, quella continua mediazione tra ciò che è lecito ed illecito. Eppure le immagini della tragedia di Ischia del maggio 2008 sono la fotografia più nitida e drammatica della piaga dell’abusivismo edilizio in Campania. Una frana travolge una casa abusiva, sotto la collina. Una famiglia distrutta: muoiono padre e tre figli. Una tragedia che allunga un’ elenco che non si puo’
dimenticare. Lettere (Napoli), dove il 22 dicembre 1997 una frana si abbatte su due costruzioni abusive sulle quali pendeva ordinanza di abbattimento sospesa per la richiesta di condono: risultato, 3 morti e 5 feriti. O come la frana che il 23 febbraio 1986 investì a Palma Campania una casa abusiva facendo 8 morti, senza dimenticare la tragedia di Sarno. Ma anche vittime sconosciute, non registrate da nessun giornale. Nello stesso giorno della frana di Ischia, a pochi metri dal luogo della tragedia, un signore di 60 anni, muore annegato dopo essere precipitato da un costone dell’isola, mentre scaricava a mare i materiali residui di alcuni lavori fatti nel suo podere, abusivamente. Siamo davanti a delle morti bianche , che trovano il loro humus nell’illegalità, nell’omertà , nel diffondersi dell’abusivismo edilizio. Una piaga decennale con una vistosa presenza del racket criminale che controlla le forniture di materiali e di manovalanza tutto in nero, ovviamente. E non puo’ valere l’alibi dell’abusivismo di necessità . Il messaggio che sta passando è devastante.
E’ un vero regalo ai boss del cemento. Un’autorizzazione a continuare a costruire. Un antistato che diventa stato. Come sono lontani i tempi della stagione delle ruspe che vide cadere giù con un effetto domino le case abusive della camorra di Eboli, l’ecomostro del Fuenti, le torri del Villaggio Coppola. Una stagione che si sperava potesse essere di monito per tutti quei sindaci che ancora traccheggiano o sono conniventi con il cemento selvaggio. Alla luce dei fatti degli ultimi mesi, dell’aria che si respira, all’indifferenza e dal silenzio del mondo politico, istituzionale e della società civile, quella speranza sembra affievolirsi. Abbattuta dal cemento. Non ce lo possiamo permettere. Resistere oggi per non piangere domani lacrime di coccodrillo. Eboli, Fuenti, Villaggio
Coppola, dimostrano che nonostante la gravità della situazione, la lotta all’abusivismo edilizio può essere vinta, quando si hanno volontà politica, coraggio e testardaggine. I magistrati della Procura di Napoli lo hanno capito.
C’è qualcun altro disposto a giocare per vincere questa partita?
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