Vuoti nelle procure, l’inutile rimedio
Livio Pepino, membro del Consiglio Superiore della Magistratura, affronta ai microfoni di Libera Informazione le motivazioni che hanno indotto l’organo di autogoverno della Magistratura a esprimersi in maniera negativa sul nuovo Dl Alfano, in una situazione di emergenza per la magistratura, dove organici da rimpinguare e sedi spesso vacanti, si intrecciano con l’approccio ruvido del premier nel gestire i rapporti e le competenze con i magistrati: un clima che ha condotto anche all’ipotesi di sciopero, paventata dall’Associazione Nazionale Magistrati.
Il Dl Alfano affronta il tema dei vuoti nelle procure permettendo di ‘trasferire d’ufficio’ alcuni magistrati, affidando la scelta e il potere di farlo al Csm”, in che modo si configura la risposta negativa del Csm sul Dl?
Questo decreto legge si propone di risolvere un problema vero, ovvero il fatto che negli ultimi due anni si è determinata nelle procure e in particolare nelle procure del Sud, una scopertura di un numero elevato di magistrati, circa duecentocinquanta. Il che significa che in tutti i tribunali della Sicilia, uno solo ha una scopertura di organico inferiore al venti per cento, e altrettanto in Calabria, al punto che alcuni uffici dovranno chiudere per mancanza di sostituiti.
Ovviamente è necessario correre ai ripari a fronte di questa situazione, e ciò non lo contesta nessuno. Il governo ha emanato questo decreto legge, dicendo in sostanza che si possono operare dei trasferimenti di ufficio, per un massimo di una novantina di magistrati, verso queste sedi, partendo dai distretti di corte di appello vicini.
Questo quindi permetterebbe solo di trasferire magistrati tra procure che già hanno carenze?
Avremo qualche giudice che obbligatoriamente va dalla Calabria alla Sicilia e viceversa. Esattamente l’opposto di quanto bisognerebbe raggiungere; perchè andando da sede disagiata a sede disagiata non cambia molto.
Sarebbe questo “aiuto tra poveri” ciò che contestate?
Esattamente si, in primo luogo questo modo di operare non risolve minimamente il problema, finge di risolverlo. Seconda cosa, per risolvere la questione bisogna capire quali sono state le cause. Mancano circa mille magistrati su novemila; allora, se mancano i magistrati, è ovvio che spostarli non cambierà la situazione ma ci saranno sempre uffici scoperti ed è abbastanza naturale che lo siano quelli meno appetibili. E su questo si innesta una rigidità del sistema per cui i neomagistrati non possono andare nelle sedi di Procura e i giudici non possono andare a fare i pubblici ministeri se non in un’altra regione. Senza contare che esistono uffici giudiziari molto piccoli con poche migliaia di cittadini di “utenza”: uffici così piccoli non posso esistere perchè è ovvio che dove mancano due sostituti su venti si rimedia, se ci sono due sostituti e ne mancano due, allora l’ufficio chiude.
Su questi punti il ministro deve intervenire, indire concorsi, facendo sapere entro che termini si vuole colmare questo vuoto, e organizzare l’accorpamento di alcuni uffici. Inoltre quelle rigidità del sistema si dovrebbero attenuare fino al raggiungimento del pieno organico. Si consenta, inoltre, di mandare i neomagistrati in quegli uffici. Ci saranno a breve trecento magistrati che devono prendere le funzioni: una parte potrà andare in sedi disagiate.
Eppure il decreto prevede una deroga: i giudici che sono trasferiti d’uffico possono fare i pm…
Questo è vero: il decreto prevede una deroga, ma parzialissima. Dice che i giudici che sono trasferiti d’ufficio possono andare a fare i pubblici ministeri, con una irrazionalità evidente. Chi viene mandato per forza, magari non volendoci andare, e che quindi, verosimilmente, non è adatto e non lo farà bene, viene mandato. Chi ci vuole andare invece non può farlo per quelle rigidità del sistema di cui si parlava prima. Facciamo una deroga complessiva e razionale, una deroga con alcuni paletti ovviamente, perchè capisco che un magistrato non possa essere trasferito dentro il suo tribunale, da giudice a pubblico ministero. Ma se uno che fa il giudice a Caltanissetta, vuole andare a fare il Pm a Catania, oppure viceversa, glielo si faccia fare almeno in questo periodo. Noi in Consiglio abbiamo visionato dei casi di gente che l’ha chiesto e gli abbiamo detto di no, perché la legge non lo prevede e non lo può fare. Arriviamo all’assurdo che ci sono due giudici a Catania: uno vuole andare a Caltanissetta a fare il pm e gli si dice di no, l’altro non ci vuole andare e viene mandato d’ufficio a farlo. Il che mi sembra una follia.
Il Csm pensa che questo principio del trasferimento sia anche in qualche parte pericoloso?
Il Dl introduce un principio, quello del trasferimento d’ufficio che non è una cosa in astratto inaccettabile con parametri precisi e oggettivi per applicarlo, ma certamente è pericoloso perchè abbiamo visto e vediamo come per esempio nell’amministrazione il prefetto di Latina, sgradito per gli interventi sul caso Fondi, sia stato trasferito altrove. Ora è vero che il trasferimento sarà gestito non dal governo ma dal Csm, però è anche vero che si sta proponendo di cambiare la composizione del Consiglio stesso. La mobilità dei magistrati non è come molti dicono un problema di comodità di magistrati, ma l’aspetto importante è che se un magistrato che fa indagini importanti sgradite può essere trasferito altrove, abbiamo chiuso.
Sempre sul rapporto tra potere politico e magistratura, sembra che la separazione delle carriere sia sempre un punto su cui il governo insisterà, dobbiamo vedere in questo Dl qualcosa che anticipa questo discorso?
In maniera immediata questo Dl non ha una incidenza su quel punto, però si inserisce in un disegno che porta a quel risultato. Se non si riescono a coprire con questo sistema i posti vuoti di pubblico ministero, bisognerà fare dei concorsi separati, trovare il modo di reclutare anche diversamente dei pubblici ministeri per coprire quegli uffici. Si tratta di un problema reale e grave che se non risolto in un modo razionale verrà risolto un giorno in modo irrazionale: che questo possa essere, voluto o non voluto, un cavallo di troia per raggiungere un risultato di maggior separazione tra pubblici ministeri e giudizi, io lo vedo come un pericolo.
Giudici e aggressori fisici equiparati in una recente sortita del premier, hanno provocato una presa di posizione del Csm, come commenta?
Riguardo alle prese di posizione del Consiglio Superiore della Magistratura posso solo ovviamente ribadire che il Csm ha questo unico strumento, quello delle cosiddette “pratiche a tutela” che già aveva utilizzato riguardo a precedenti affermazioni del presidente del Consiglio e che sarà usato anche in questo caso, rendendo queste dichiarazioni tema di dibattito in questi giorni. Quello che penso io è molto netto: credo che delle dichiarazioni come quelle del presidente del Consiglio, tra l’altro ripetute e così insistite, rivelano una grave irresponsabilità istituzionale. Questo è un grave problema per i cittadini; io credo che le decisioni dei giudici possono e devono essere tranquillamente discusse e criticate: le critiche puntuali e precise credo che siano uno degli esercizi di controllo dell’opinione pubblica sull’operato della magistratura. Sono però una cosa totalmente diversa le delegittimazioni generiche e pregiudiziali, l’insulto, l’accusa a tutti i magistrati o a una parte dei magistrati. Non si sa chi, come quando, per quale processo, perchè, né l’atto che viene contestato. Il fatto in sé è proprio la possibilità che dei pubblici ministeri e dei giudici si occupino di un certo settore. Questo è l’aspetto grave, tanto più quando detto in maniera non asettica ma
con paragoni che evocano delle aggressioni all’incolumità. Siamo a dei livelli di attacco istituzionale che creano dei problemi molto seri, a livello di equilibrio di poteri.
Qual è la sua opinione sulla possibilità di sciopero paventata dall’Anm?
Io credo che la situazione sia drammatica e queste situazioni esigono delle risposte all’altezza; se poi in concreto sia lo sciopero non lo so, perché bisognerà valutare quale sia lo strumento migliore. Credo tuttavia che sia giusto non escluderlo perché ci vuole una risposta alta e capace di far cogliere al maggior numero di cittadini la situazione. Se in termini di efficacia sarà raggiunta tramite uno sciopero, ben venga, se si trova un altro strumento altrettanto adeguato penso sia giusto, basta far comprendere la gravità della realtà perché penso non sia percepita a pieno.
Riguardo all’attività del Consiglio, Pino Pavich, vicesegretario nazionale di Magistratura indipendente ha dichiarato al Giornale: “ Diciamo pure che in passato, anche in un passato recente, il Csm ha tollerato situazioni di inefficienza o di scarsa produttività. Oggi, per fortuna non è più così. ” Cosa ne pensa? Anche il Csm potrebbe maggiormente incidere sulla situazione della giustizia?
Per Costituzione l’organizzazione della Giustizia compete al ministro, le leggi le fa il Parlamento, il quadro legislativo quindi sfugge al Csm che però può e deve fare delle cose che non possono essere sostitutive delle leggi o delle misure organizzative del Governo. Però ci sono, guai se il Consiglio non le facesse: n questo il Csm deve fare, secondo me ha fatto anche bene, deve fare di più, perché i magistrati e l’organo di autogoverno devono avere anche la capacità di guardare a loro stessi e quindi di vedere ciò che loro compete. Importante è capire che i mezzi per la giustizia non li decide il Csm, ma il Governo e il Parlamento. Se abbiamo fatto dieci possiamo riprometterci di fare venti, ma da dieci non si può passare a cento. Dirlo sarebbe creare delle false aspettative. Coordinare il lavoro e migliorarne la gestione è compito del Csm e bisogna continuare a farlo. Sarebbe un errore pensare che tutto si possa risolvere lì perché questo darebbe un alibi ad altri per dire “ecco è colpa dei magistrati che non si sanno organizzare”. Bisogna capire l’ambito di competenza, ognuno all’interno del suo ha delle responsabilità, anche i magistrati, anche il Csm all’interno del quale avverto dei cambiamenti, e confido che si possa fare ancora meglio purché si sappia quali sono i limiti di azione degli uni e degli altri.
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