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Il 2010 fra realtà e utopia

Di Nando dalla Chiesa il . L'analisi

Gennaio 2010. Una fredda sera piemontese. A Romentino, provincia di Novara. Per parlare di criminalità organizzata su invito di un’associazione giovanile, Quasar. Una platea foltissima e in prima fila tutte le autorità amministrative locali. Dopo la relazione di apertura sui rischi che corre il nord di fronte alla spinta espansiva delle organizzazioni mafiose, il sindaco ringrazia. Esprime il suo sostegno a una causa, quella dell’antimafia, che si fa carico di problemi tanto gravi e spinosi, e poi tranquillizza il relatore: qui per fortuna questi problemi non ci sono, ancora nella nostra azione amministrativa non abbiamo avuto modo di incrociare o riconoscere questo tipo di interessi illegali. Passano cinque minuti e dal fondo della sala una signora chiede la parola. Appena la riceve dà a tutti una comunicazione che più simbolica non si potrebbe: è appena stato ucciso nel suo ufficio un imprenditore edile. Poi rivolge a tutti la domanda che scompiglia ogni schema retorico: che cosa sta succedendo qui nell’edilizia, tra assassinio, fallimenti e arresti? Il movimento terra, la crisi di liquidità, i subappalti, le protezioni ai cantieri. Velocemente, agli occhi di chi abbia un minimo di allenamento, si profilano gli scenari possibili di quel delitto che fa crollare come un castello di carte le presunzioni di verginità. Il succo della serata è dunque una domanda ulteriore: fino a quando? Fino a quando dovremo non vedere? Fino a quando i ciechi e gli struzzi dovranno lasciare libera prateria agli interessi mafiosi al nord? Fino a quando dovremo concentrare la nostra attenzione sui clandestini e distogliere gli occhi da chi rappresenta il pericolo mortale per l’economia di mercato, ma più ancora per le libertà civili e per la qualità delle istituzioni democratiche? Passano poche ore e in un altro luogo il prefetto di Milano tranquillizza altri esponenti delle istituzioni: la mafia a Milano di fatto non esiste. Trent’anni dopo Ambrosoli, Sindona e Calvi, e i primi riciclaggi accertati dei capitali da narcotraffico; venticinque anni dopo le operazioni giudiziarie contro i clan dei siciliani; vent’anni dopo la Duomo Connection; quindici anni dopo le ondate di arresti e di ergastoli inflitti agli affiliati della ‘Ndrangheta lanciata alla conquista di Milano. 

Ecco, dunque. Che cosa desidero in questo 2010? Che cosa desidero dalla mia piccola ma densa prospettiva di cittadino del nord, oltre la pace, oltre una svolta epocale sull’ambiente, oltre una società più solidale e perfino meno villana e vociante? Desidero proprio questo: abitare in un’area del Paese in cui chi ha pubbliche cariche si senta investito della responsabilità, dell’onore direi, di difendere la comunità dei cittadini onesti, di dare loro un accettabile senso delle istituzioni e di svegliarne la coscienza di fronte ai nemici della democrazia e della convivenza civile. Lo so, sembra un piccolo sogno. Sideralmente lontano dalla storica grandiosità del dream di Martin Luther King. E tuttavia quel che è successo, quel che succede, la perfida trama di senso comune che ci avvolge, lì mi porta. A immaginare di trovarmi domani in una “Padania” popolata di sindaci e prefetti e amministratori tutti mobilitati contro ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra. Convinti che sia un loro preciso dovere vedere e contrastare. Dove le scuole formino e informino. Dove la stampa scriva senza esitazioni dei negozi fatti saltare la notte anziché lasciare rubricare tutto sotto la voce cortocircuiti, materia per elettricisti Dove i governi regionali si interroghino su come colpire gli interessi criminali che si muovono con l’avidità dei demoni sul territorio e nella sanità. Dove i partiti di destra e di sinistra si pongano qualche decente domanda davanti ai pacchetti di voti assicurati in massa da qualche colonia calabrese. Dove le associazioni di categoria trovino il coraggio mostrato alla fine dagli esponenti di punta di Confindustria siciliana. Il mio modesto sogno si ferma qui. E già mi sembra di essere andato tanto, ma proprio tanto avanti. Se trent’anni fa mi avessero detto che questa sarebbe stata la mia Utopia, giuro che non ci avrei creduto.

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