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Cuffaro, condannato a 7 anni, favorì Cosa Nostra

Fonte: Ansa* il . Sicilia

Nella stessa aula in cui, due anni
fa, accolse con sollievo, quasi fosse un’assoluzione, una
condanna a 5 anni per favoreggiamento semplice e rivelazione di
segreto istruttorio, il senatore Udc Salvatore Cuffaro, ex
governatore della Sicilia, ha assistito, oggi, al secondo atto
della sua vicenda processuale che si è conclusa con un verdetto
di colpevolezza e una pena di 7 anni. Una sorta di dejavu con
tutti i protagonisti – avvocati, accusa e pubblico – attenti a
cogliere, nella lettura di un dispositivo complicatissimo, il
cenno all’aggravante mafiosa, esclusa in primo grado, da cui
l’ex presidente, allora, avrebbe voluto far dipendere la sua
permanenza alla guida della Regione.

Avrebbe voluto, perchè poi
le cose andarono diversamente e Totò, detto «vasa vasa»
(bacia, bacia n.d.r.) per la sua abitudine di schioccare due
baci sonori sulle guance degli interlocutori, fu costretto a
lasciare.
L’epilogo, però, stavolta è stato un altro. Due anni fa il
tribunale negò l’aggravante, ritenendo che Cuffaro avesse sì
favorito i boss, ma non l’organizzazione Cosa nostra. Oggi, la
corte d’appello, presieduta da Giancarlo Trizzino, ha invece
accertato che l’agevolazione alla mafia ci fu. Una valutazione
che ha portato a una riqualificazione in favoreggiamento
aggravato del favoreggiamento semplice sancito dal primo
verdetto.

E che è costata all’ex governatore una condanna a 7
anni di carcere, due in più della vecchia pena.
«Non sono mafioso e non ho mai aiutato la mafia, ma
rispetterò serenamente la sentenza», ha commentato Cuffaro,
ora senatore dell’Udc, uscendo dall’aula. Circondato dai suoi
fedelissimi – i fratelli e una serie di sostenitori politici –
ha preferito brevi dichiarazioni alla conferenza stampa
improvvisata con cui, due anni fa, commentò la decisione del
tribunale. «Non mi dimetto», aveva detto, allora, sollevato
dal fatto che «fosse caduta l’infamante accusa di mafia».
«Non cambio il mio percorso politico», ha commentato oggi a
caldo.

Un’affermazione in parte modificata a fine mattinata
quando, attraverso una nota, ha annunciato l’intenzione di
lasciare ogni incarico di partito. Non però il seggio di
Palazzo Madama. «Le sue scelte sono più eloquenti delle
parole», ha detto il segretario del movimento Lorenzo Cesa.
Mentre Claudio Fava, coordinatore della segreteria nazionale di
Sinistra Ecologia Libertà, definisce «una vergogna» la
decisione del politico di non dimettersi dalla carica di
senatore.
Per un commento alla sentenza occorrerà leggere le
motivazioni. Di certo, però, c’è che la corte si è spinta
dove i giudici di primo grado non erano arrivati, sostenendo che
Cuffaro, autore della fuga di notizie che consentì al boss
Giuseppe Guttadauro di ritrovare una microspia in casa sua,
favorì non solo il capomafia e il suo sodale, l’ex assessore
Udc Mimmo Miceli, intermediario tra il governatore e il padrino,
ma l’intera organizzazione Cosa nostra.

Una rilettura dei fatti, quella dei magistrati d’appello, che
non si limita alla posizione dell’ex governatore. Anche altri
due protagonisti di quello che fu definito il processo della
Talpe alla Dda, sono usciti dal secondo grado di giudizio con
pene più pesanti. Michele Aiello, ex manager della sanità
privata, accusato di associazione mafiosa, ritenuto l’alter ego
nell’imprenditoria del boss Bernardo Provenzano, si è visto
aggravare la pena, passata da 14 anni a 15 e 6 mesi. Dopo la
lettura della sentenza i carabinieri sono andati a prenderlo per
portarlo in carcere: la corte, accogliendo le richieste dei pg,
ne ha disposto l’arresto temendo una sua fuga.
Pena più pesante anche per un altro personaggio chiave della
vicenda: l’ex sottufficiale del Ros Giorgio Riolo.

 Condannato in
primo grado per favoreggiamento aggravato – faceva parte della
rete di spionaggio ordita da Aiello per avere informazioni sulle
indagini di mafia – è stato riconosciuto colpevole di concorso
esterno e dovrà scontare 8 anni di reclusione contro i 7
inflitti dal tribunale.

* Lara Sirignano

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