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48 ore contro il traffico di stupefacenti a Gela

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

“Focus” e “Family Market”, due denominazioni che poco hanno a che spartire con l’ambiente criminale, sono parse, al contrario, idonee alle forze dell’ordine allo scopo di caratterizzare due vaste operazioni condotte a Gela entro uno spazio temporale comprendente le notti del 10 ed 11 gennaio.

Il nodo focale delle due indagini, tra le più complete dell’ultimo periodo, è di facile identificazione: la volontà di limitare drasticamente il business degli stupefacenti a Gela. Con la caduta dell’esclusivo monopolio esercitato per decenni dai due gruppi criminali locali, cosa nostra e stidda, quella legata alle droghe, nel loro complesso, ha conquistato la vetta della speciale classifica delle attività illecite praticate nel comprensorio gelese, inducendo molteplici soggetti ad intraprendere una particolare ventura: quella finalizzata al suo controllo.

Nonostante i rilevanti apporti già garantiti, durante i mesi precedenti, da diverse azioni pianificate dagli inquirenti, il commercio di stupefacenti non ha mai perso il pericoloso fascino idoneo a generare un’evidente forza di attrazione anche nei confronti di individui estranei alla dimensione delinquenziale, incapaci di non farvisi ammagliare.

Potrebbe apparire veramente estemporaneo affermarlo, ma i dati di fatto non si prestano a particolari smentite: le cosche mafiose, a Gela, sono state detronizzate da un nugolo di famiglie, ben organizzate e in grado di mantenere una certa riservatezza nella gestione dell’affare, divenute, in breve tempo, “eroine” assolute dell’intero mercato, e ancor di più, della complessiva filiera: dalla fase di acquisto all’ingrosso a quella della vendita al minuto.

Il blitz “Focus”, condotto dal locale commissariato della Polizia di Stato, e giunto ad esito favorevole dopo un lungo periodo d’indagine, perdurato per circa due anni, ha imposto la chiusura di quella che aveva assunto tutti i connotati di vero centro direzionale dello spaccio nel quartiere “Villaggio Aldisio”, ovvero l’abitazione della famiglia Marangolo: Carmelo e Giuseppe, padre e figlio, insieme alla convivente di quest’ultimo, Jilenia Bartoli, avevano avviato un’ “impresa” efficiente e mai inattiva, tanto da assicurare ai propri clienti un costante servizio, fondato, quasi esclusivamente, intorno alla distribuzione di droghe leggere, marijuana ed hashish, spesso servite ai richiedenti direttamente dal balcone della propria dimora, grazie all’utilizzo di un banale cesto in plastica agganciato ad una lunga corda; era sufficiente pigiare il tasto collegato al citofono dell’abitazione per avere un’immediata risposta.

Questo commercio riusciva ad attrarre consumatori provenienti da ogni parte della città: era facile “farsi una storia” nei pressi dell’Oratorio San Domenico Savio, non solo citofonando al civico 116 di Via Giulio Siragusa, ma, ancora, riuscendo ad intercettare qualche giovane pusher del quartiere alle dipendenze dei Marangolo.

La vendita di droghe rappresentava l’apice degli interessi, ma non era il solo: alcuni membri della ristretta organizzazione erano assai abili nel trasformare armi da fuoco giocattolo in strumenti atti ad offendere, utilizzando materie prime, soprattutto metallo e ferro, spesso provenienti dall’interno dello stabilimento petrolchimico, e non si esclude che siano servite agli autori di taluni, tra i tanti, episodi intimidatori registratisi in città nell’ultimo periodo.

Se quella condotta dalla Polizia di Stato di Gela è riuscita a scardinare i virtuali lucchetti posti dall’organizzazione “casareccia” strutturata da un unico nucleo familiare, spalleggiato da noti frequentatori dell’orbita della bassa delinquenza cittadina, da Giovanni Palermo, fratello di Giuseppe, complice di Carmelo Barbieri, portavoce del clan Madonia, nel tentativo di sequestro orchestrato ai danni di due orafi veneti, i fratelli Bovo, arrestato proprio lo scorso anno a seguito dell’operazione “Atlantide-Mercurio”, a Crocifisso Di Gennaro, da ultimo coinvolto nel blitz “Zagara” destinato a destrutturare una vasta rete di fornitori di stupefacenti all’ingrosso, ed ex gestore di un bar sito in Via Venezia, quasi distrutto da un violento attentato dinamitardo, l’indagine “Family Market”, invece, si pone quale amplificazione della precedente, tanto da accertare l’esistenza di reti di traffico ancor più dilatate rispetto al semplice livello urbano.

Alcuni dei nomi elencati nella lunga lista fornita dal Nucleo della Guardia di Finanza di Gela sono mere ripetizione di quelli già indicati dal locale commissariato della Polizia di Stato, Crocifisso Di Gennaro, Giovanni Palermo, Giacomo Peritore, fornitore di cocaina per Giuseppe Marangolo, indelebili segni di un collegamento tra le due indagini, altri, viceversa, si legano agli obiettivi di precedenti inchieste.

La famiglia Peritore al gran completo, infatti, dopo aver monopolizzato l’attenzione degli inquirenti nei primi mesi dell’anno appena trascorso, determinando il blitz, “Mater Familias”, assurge nuovamente alle cronache, evidentemente incapace di rinunciare ad un affare fin troppo lucroso, certamente impossibile da sostituire con i semplici profitti generati da una semplice rivendita di indumenti intimi, gestita, prima dell’avvio di una lunga fase di complicanze giudiziarie, dalla capostipite, Concetta Lucchese, ritenuta dagli investigatori punto nevralgico del consesso delinquenziale.

A questa si sono aggiunte ulteriori congregazioni connesse fra loro da stretti rapporti di parentela: Concetta, Valentina e Crocifissa Liardo, Manuel, Vincenzo e Luciano Ieva, per tale ragione difficili da individuare e stanare nel compimento dei fatti.

Si può, dunque, parlare di una federazione composta da almeno tre diversi nuclei familiari in grado di coordinarsi al fine di acquisire la quota di maggioranza di una particolare società: la “stupefacenti s.p.a.”. L’inchiesta “Family Market” ha così bloccato tale catena di montaggio, resa ancor più efficiente da rifornimenti spesso assicurati dai “grossisti” dell’Italia settentrionale, concentrati nelle zone di Brescia e Mantova, quest’ultima, peraltro, confermatasi nell’ultima decade tra le colonie gelesi più frequentate, si pensi ai recenti arresti di Orazio Razza e Giuseppe Nisellino, a quello di Luca Caltagirone, imprenditore gelese interessato dal blitz “Compendium”, a quelli molto più risalenti di Emanuele Barbuscia e Giuseppe Nocera.

In mancanza di un fitto sistema di welfare sociale alcune famiglie gelesi si rifugiano in un diverso “programma di tutela”: lo spaccio di sostanze stupefacenti.  

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