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“Fate qualcosa: sono giovani, ignoranti ed armati”

Di Antonello Mangano il . Calabria

I primi arrivarono nel 1990, erano polacchi. Oggi non ci sono
più. Due anni dopo fu la volta dei primi africani. Negli ultimi anni si
sono aggiunti altri lavoratori dell’Est: ucraini, romeni, bulgari.
Sono i raccoglitori delle arance nella Piana di Gioia Tauro, manodopera
di un’economia agricola che senza di loro non esisterebbe. Ci sono
circa 4200 ditte censite in tutta la zona. Hanno bisogno di braccia. E
di silenzio.

Nel ‘92 comincia a popolarsi la “Cartiera”,
quella che i migranti chiamavano “fabbrica”, in realtà un edificio
diroccato che sarà la loro abitazione nei tanti inverni passati in
Calabria. Li proteggerà – per quanto possa permetterlo il tetto
sfondato – dagli inverni rosarnesi, e sarà definita un “lager” dagli
inviati provenienti da tutto il mondo. Finanziata con fondi statali, si
chiama in realtà “Modul System” ed avrebbe dovuto produrre carta per
telescriventi. Tutto abbandonato, come la vicina area industriale, una
sequenza di strisce d’asfalto, lampioni ed erbacce che con il tempo è
diventato il più grande monumento italiano allo spreco di denaro
pubblico. Alla Cartiera sono entrati attivisti, fotografi, giornalisti
e pure politici. Tutti a promettere una soluzione per quella che un
ivoriano – tagliando corto – definì “una vergogna per l’umanità”.
Nessuno ha mai fatto nulla di risolutivo, fino a quando i commissari
prefettizi (i tre consigli comunali della zona sono stati sciolti dal
Ministero) hanno deciso, la scorsa estate, di mandare un paio di operai
con carriola e mattoni forati a sgomberare l’edificio, per ragioni di
“ordine pubblico”. La Cartiera è stata sgomberata, la sua storia di
paura e violenza sarà dimenticata.

Nel 1999, in una
drammatica lettera al sindaco Lavorato, di sinistra ed antimafioso, un
gruppo di lavoratori africani denunciò “aggressioni inimmaginabili di
ogni tipo” e lanciò un appello – inascoltato – allo Stato italiano
affinché prendesse “tutte le misure necessarie per fermare questo stato
di violenza gratuita”. Sono “giovani, ignoranti ed armati”, scrivevano
i lavoratori africani. “Siamo venuti solamente e unicamente per la
raccolta degli agrumi, ma siamo vittime da quando siamo arrivati a
Rosarno di una violenza senza precedenti”. Ignoranti ed armati. Parole
perfette per descrivere i balordi che ieri hanno sparato ad un togolese
con un fucile ad aria compressa, scatenando una ribellione dagli esiti
imprevedibili. Giochi consueti nel corso degli anni. “Andare per
marocchino”, lo chiamano. Più divertente che passeggiare sul corso
nella noia dei mesi freddi. “Vanno in gruppo sugli scooter e ti
colpiscono con i bastoni quando passi”, raccontava un marocchino
all’inviata del Guardian di Londra nel 2006. L’anno successivo, tre
africani venivano gambizzati nelle campagne di Rizziconi. Nella notte
di capodanno – sempre nel 2007 – Cornelia Doana, una ragazza romena,
veniva uccisa a colpi di arma da fuoco per aver osato lasciare il
convivente rosarnese.

Sono anni di silenzio. Gli episodi di
violenza vengono raccontati sottovoce, prevale la paura. Il 14 novembre
del 2008 c’è un misterioso suicidio alla Cartiera. Un ghanese di 28 anni
si impicca. Rosarno è uno dei tanti paesi agricoli del Sud dove gli
immigrati sono sfruttati. Ma è anche l’unico dove, fin dai primi anni
‘90, patiscono il clima di violenza diffusa che la mafia impone al
territorio. Il 12 dicembre 2008 dicono basta. Il ferimento di due
ivoriani provoca una notte di rivolta dell’intera comunità africana.
“L’obiettivo era attirare attenzione e dire: ‘Non osate mai più’”,
scrisse Roberto Saviano riferendosi anche all’analogo episodio di
Castel Volturno avvenuto appena qualche settimana prima, a settembre.
Caso unico nella storia del paese, il colpevole di un atto delittuoso è
arrestato nel giro di poche ore. Emerge l’incredibile movente estorsivo
ai danni degli africani. Di fronte alla caserma c’era la fila degli
immigrati pronti a testimoniare. Il capitano dei carabinieri riconosce
che “la comunità africana ha dimostrato un senso dello Stato maggiore
rispetto a quello degli stessi rosarnesi. Hanno saputo alzare la testa”.

Terrelibere.org

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