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“Quella bomba non è questione di ordine pubblico”

Di Nello Trocchia il . Calabria

E’ durato un giorno l’allarme ‘ndrangheta. Neanche il tempo di
capire le ragioni, valutare le iniziative per reagire all’ordigno
piazzato davanti alla procura generale di Reggio Calabria, che è
tornato il silenzio. Un paio di pagine dei quotidiani e passa la paura.
Il paese è tornato a interrogarsi su questioni più delicate e
importanti. Nell’ordine si parla di body scanner e terrorismo, anche la
‘ndrangheta è inserita nella lista nera delle organizzazioni criminali
dedite al narcotraffico, ma dal dipartimento del ministero del tesoro
degli Stati Uniti e ha fatto più morti di Al Qaeda nel nostro paese.
Torna di attualità l’idea di intitolare una strada al condannato
latitante Bettino Craxi e se uno è fortunato può anche trovare
approfondimenti sulle riforme invocate da qualche solone
dell’ultim’ora. La ‘ndrangheta proprio non fa presa. Non basta il fatto
che abbia messo le mani sugli affari del Porto di Gioia Tauro, frenando
lo sviluppo, controllando l’ingresso di merci contraffatte e il
redditizio traffico di stupefacenti con gli accordi con i narcos
colombiani con un fatturato che supera i 40 miliardi di euro l’anno.

Non
basta il fatto che ogni metro della Salerno-Reggio Calabria è
controllato dalle cosche che da tempo hanno in mano i sub-appalti. Non
basta neanche il rapporto consolidato con la politica, per ultimo lo
scioglimento per mafia di Taurianova, 18 anni dopo il primo
azzeramento. Nel consiglio comunale c’erano due soggetti protagonisti
della prima compagine amministrativa decapitata. Tornano sempre in
sella. Non basta neanche la collusione con l’imprenditoria.  Non basta
la capacità della ‘ndrangheta di fare affari nel centro(ricordate i
clan Tegano e Tripodo a Fondi?) e nord Italia, nel centro Europa fino
in Australia. I mezzi di informazione si adeguano, Berlusconi aveva
dettato la linea: “ Strozzerei chi parla di mafia”.

Nicola
Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, conosce bene la
‘ndrangheta, la combatte da anni e la mafia calabrese aveva anche
progettato di ammazzarlo. Un anno fa nei suoi uffici fu trovata anche
una cimice: veleni e congiure in terra calabrese. Gratteri non ha
dubbi, la chiave di lettura bisogna capovolgerla, altro che ‘ndrangheta
che ha paura: “ Riduttivo parlare di ordigno come risposta ai beni
confiscati. Certamente la Procura di Reggio Calabria è molto più forte
di prima, il procuratore Pignatone ha portato la procura antimafia da 8
a 12 unità e riusciamo ad indagare su più ‘ndrine. Impulsi anche
nell’attacco dei patrimoni mafiosi. Detto questo, l’attività della
procura  si ripercuote sull’ufficio gip composto da poche unità. Per
prima cosa bisogna rafforzare l’ufficio gip”.

Le indagini
della procura arrivano a processo, ma quando si arriva in appello
iniziano i problemi. “ La pubblica accusa in appello è sostenuta da
pochi magistrati, la procura generale di Reggio Calabria ha 3 sostituti
procuratori generali, un avvocato generale e il procuratore generale.
Sono pochi e bisogna aumentarne i numeri”. Gratteri mette in fila le
cose da fare e rigetta ogni retorica. Di certo non è solo questione di
uomini, la mafia calabrese è precisa, quella bomba è stata piazzata
davanti alla procura generale e non altrove. Ci sono i processi di
appello da celebrare, quelli sul tavolo sono delicatissimi, dalla
strage di Duisburg all’omicidio Fortugno, dai fiancheggiatori dei
super-boss alle inchieste sulle grandi speculazioni commerciali.

“La
‘ndrangheta ha lanciato un messaggio. Se una persona mi manda un
messaggio aspetta una risposta da questo messaggio. Ora bisogna
decriptare il messaggio e dare una risposta chiara. Se si sbaglia la
risposta compromettiamo la lotta alla ‘ndrangheta. Che la risposta sia
chiara e seria. La bomba non è un problema di ordine pubblico, è una
cosa seria e bisogna essere molto seri con una risposta normativa”.
Gratteri denuncia: “ Con questo sistema giudiziario sarà difficile
arginare il fenomeno mafioso, ho detto arginare che non significa
sconfiggere”. E Gratteri elenca gli interventi urgenti: “Parificare la
pena del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso a quello
di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
Oggi un mafioso sta dentro 5-6 anni mentre un trafficante rischia da 20
a 30 anni. Bisogna abolire il rito abbreviato sui reati di mafia ( che
riduce di un terzo la pena) perché gli avvocati fanno la fila quando
c’è la prova per applicarla ai loro clienti”. Norme nuove, riforme da
cui potrebbe partire il dialogo invocato, senza toccare gli attuali
strumenti a disposizione.“

Lei parla delle intercettazioni?
Se passa quella legge sarà la fine dell’attività giudiziaria”. ” Lo stato faccia capire che non conviene essere ‘ndranghetista”.

In
Calabria tra poco ci saranno le elezioni e Gratteri precisa che la
mafia non fa il tifo per nessuno: “ La mafia controlla pacchetti di
voto consistenti e li mette sul mercato. Vota il cavallo vincente”.
Gratteri risponde anche sulla cimice trovata nel suo ufficio: “ Non ho
cambiato il mio modo di lavorare credo ancora nella giustizia, non mi
faccia dire ma io le mie spiegazioni su quella cimice me le sono date e
come”.

Tra poco ci saranno le regionali e la politica  dovrà
scegliere tra rinnovamento e permanenza. Il consiglio regionale, in
questi anni, è stato travolto da inchieste di ogni genere, con
protagonisti assolutamente bipartisan ( a cominciare dal governatore
Loiero coinvolto nell’inchiesta Why not). Il rinnovamento potrebbe
partire proprie dalle liste. Per dare concretezza ai fiumi di parole.

Ascolta l’intervista a Nicola Gratteri


Ascolta l’intervista a Francesco Forgione


www.federalismocriminale.it

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