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All’ombra del porto, gli affari delle ‘ndrine

Di no.fe. il . Calabria

L’operazione “Maestro” scattata stamani è l’ultimo anello, in ordine di tempo, di una catena di indagini condotte dalla Procura di Reggio Calabria seguendo la filiera degli investimenti della ‘ndrangheta  e quella del commercio internazionale di tabacchi, droga e merci dall’oriente. Il colossale movimento del porto, in cui oggi passanto più di 7500 containers al giorno, su tratte internazionali ed intercontinentali, e che presenta enormi potenzialità di espansione, garantisce una moltiplicazione esponenziale degli affari, dal movimento merci, alle opportunità di traffici illeciti internazionali, alle “garanzie” sui controlli, alla gestione dei movimenti terra, dentro  e nelle adiacenze del porto.  Questa opportunità, valorizzata anche da investimenti europei e nazionali, ha attratto gli appetiti dei “Molè”, dei “Piromalli”, dei “Bellocco” e dei “Pesce” e li hanno portati ad imporre la loro presenza, offrendo l’opportunità di un salto di qualità internazionale.

Questa analisi emergeva già nel 2007 dalla relazione della Commissione parlamentare antimafia, presieduta dall’on. Francesco Forgione, tanto da individuare in uno dei tre elementi d’inchiesta sulla ‘ndrangheta, proprio il porto di Gioia Tauro, dove i dati dei sequestri e delle operazioni del Servizio vigilanza antifrode, evidenziavano forti irregolarità e condizionamenti nell’attività commerciale del porto nel quale vengono accolti e smistati, fra gli altri, tabacchi lavorati esteri, calzature, articoli elettronici e materiale contraffatto di varia natura, pronti per essere smerciati all’interno dei Paesi dell‟Unione Europea. Non solo, anche nello smaltimento dei rifiuti. Proprio lo scorso 10 luglio 2007, un’indagine coordinata dalla Procura di Palmi ha portato al sequestro di centinaia di containers contenenti rifiuti vari, in particolare destinati in Cina, India, Russia e Nord Africa, per poi essere lavorati esportati come ricambi o merce a prezzo ribassato nel territorio dell‟Unione Europea. La pax mafiosa fra Piromalli e Molè, a tratti interrotta, e poi rientrata, associata all’assenza di contrasti interni al porto, di mancati attentati (se escludiamo le minacce agli ultimi due funzionari, che hanno dato il via all’operazione Maestro) farebbero ipotizzare una gestione serena e compartecipata, fra cosche e alcuni funzionari, tramite passaggio di danaro o favori, all’interno dell’attività portuale.

Alcune indagini narrate nella relazione sulla mafia “liquida” portata avanti dalla Commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, assomigliano molto all’operazione di oggi,  e a distanza di qualche anno, denunciano lo stesso modello di radicamento degli affari illeciti in questo porto centrale nel mediterraneo. “Gioia Tauro ed il suo porto rappresentano la metafora di un processo di modernizzazione senza sviluppo che ha segnato il corso della storia della Calabria da decenni – scrivono nella Relazione – una storia complessa con tanti protagonisti e un convitato di pietra: la ‘ndrangheta. II porto, progettato negli anni ‘60 come porto industriale al servizio del mai realizzato V° Centro Siderurgico, venne inaugurato solo nel 1992 e la sua definitiva destinazione fu quella di terminal-hub per containers, sulla base di un progetto dell‟imprenditore Angelo Ravano, legale rappresentante della multinazionale Contship Italia, che mirava a farne il principale scalo di transhipment di containers del Mediterraneo”. Nella Relazione si racconta di come il progetto, condiviso dal Governo dell’epoca con apposito  “Protocollo di Intesa” vide l’avvio tramite la  Contship e la sua filiazione Medcenter Containers Terminal (MCT) di attività sviluppatesi a ritmo elevato, fino a far assumere allo scalo, nel 1995, il ruolo leader nel settore del transhipment nell’area mediterranea. “Le successive indagini condotte tra il 1996 ed il 1998 dalla Squadra Mobile e dalla D.I.A. di Reggio Calabria, confluite nel processo denominato “Porto”, e conclusosi con la condanna di numerosi imputati, dimostrano come l’interesse e la volontà della’ndrangheta di mettere le mani sulla straordinaria occasione di arricchimento costituita dal Porto – continuano nella Relazione –  si fossero manifestate ancor prima che il concessionario iniziasse la sua attività”. Il processo, conclusosi nel 2000, infatti ha dimostrato l’esistenza di un unico cartello fra le cosche, rappresentate nelle trattative dal boss Piromalli, capace di gestire un sistema che prevedeva un pagamento di tangenti da parte delle società coinvolte,  corrispondente in dollari a 1,50 per ogni container scaricato, pari al 50% dei profitti conseguiti dalle Società per ogni container, nonché all’inserimento di società che si occupassero dei servizi portuali segnalate dagli stessi imputati per agevolare l’attività del “cartello” criminale affaristico, di stampo mafioso (ovvero la «Cosca Piromalli – Molè» di Gioia Tauro, la collegata «Cosca Pesce» di Rosarno).

Come dimostra l’operazione Maestro, si tratta di problemi irrisolti, nonostante l’intervento costante della magistratura, il rafforzamento del dispositivo di contrasto con la creazione di un pool investigativo composto da operatori della Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile di Reggio e del Commissariato P.S. di Gioia Tauro con il compito esclusivo di investigare e fronteggiare le infiltrazioni mafiose nel porto. “Permangono ugualmente scelte e comportamenti di poca trasparenza degli enti titolari di competenze sull’area portuale e sull’adiacente area di sviluppo industriale – denunciava la relazione della commissione parlamentare presieduta da Forgione – tale situazione, se non vi si pone rimedio, è inevitabilmente destinata ad aggravarsi in relazione agli ingenti investimenti che nei prossimi anni interesseranno l’intera area di Gioia Tauro e lo sviluppo dello Scalo”. Già nel 2007 la relazione individuava in uno dei canali sensibili per l’ingresso del controllo della mafia calabrese sugli affari del porto proprio: “l’hub automobilistico, destinato ad accogliere i veicoli esportati in Europa dalle industrie dell’Estremo Oriente. con relativo adeguamento di tutte le strutture oggi esistenti”. 

Una fotografia di oggi scattata con parole di ieri. 

 

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