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Le mani della ‘ndrangheta sul porto di Gioia Tauro

Di no.fe. il . Calabria

Import – export made in ‘ndrangheta. Così, oltre la droga dal porto di Gioia Tauro, passavano merci contraffatte, o irregolari, con la complicità di alcuni funzionari e la pervasiva gestione della ‘ndrangheta. Lo hanno scoperto i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e gli specialisti del Ros, che hanno stroncato un giro d’affari imponente e sequestrato beni per 40 milioni di euro. L’indagine denominata “Maestro” e coordinata dalla  Dda reggina, con il contributo della Dogana Nazionale, ha sollevato il coperchio su una concentrazione d’interessi che consentiva alle cosche dei Piromalli e dei Molè, di gestire e seguire la filiera del commercio illegale, tutto il percorso delle merci, made in China, che approdavano al porto e che poi venivano distribuite o imbarcate. Con l’aiuto della ‘ndrangheta, cui pagavano una tangente, denominata “assistenza”, i cinesi pagavano meno tasse sulle merci regolarmente introdotte (bolle falsificate) e grazie a controlli nulli facevano transitare anche merci contraffatte di grandi marche. 

La contraffazione è un business che interessa anche altri porti, da quelli campani a quelli laziali, in Italia, Gioia Tauro però negli ultimi anni, si appresta a diventare sempre più la porta dell’Europa,  e qui il controllo delle cosche calabresi si estende su quasi tutto: dalla droga (l’ultimo sequestro è solo di un mese fa su un carico in arrivo dal Sud America) sino all’annullamento del controllo dei singoli container (sulla ditta di Allservice, controllata da Molè e Piromalli  – Alvaro, si era già concentrata l’attenzione dei magistrati) alle merci comuni, con l’ausilio dei “colletti bianchi”. L’operazione che ha portato a 27 ordinanze di custodia cautelare, 26 eseguite, ha smantellato un sistema che le due famiglie gestivano, non senza alcuni conflitti, con un meccanismo oliato dalla conoscenza dei sistemi doganali.

GLI ARRESTATI DELL’OPERAZIONE “MAESTRO”

Sono 26, sulle 27 emesse dal gip di Reggio Calabria, le ordinanze di custodia cautelare eseguite dai carabinieri nell’ambito dell’operazione «Maestro» condotta contro la cosca Molè di Gioia Tauro. L’unico irreperibile è Giorgio Hugo Balestrieri, residente e Rosignano Marittimo (Livorno). Tra gli arrestati figurano anche due cittadini cinesi, Rong Rong Dai, di 27 anni, nata a Zhejiang e residente a Roma, e Wanli Lyn (27). Gli altri arrestati sono: Antonio Albanese (64 anni), di Gioia Tauro; Angelo Boccardelli (60 anni), di Segni (Roma); Gregorio Cacciola (29 anni), di Rosarno; Pietro Francesco Calipa (29), di Polistena; Agostino Cosoleto (48), di Oppido Mamertina; Francesco Cosoleto (23), di Cinquefrondi; FILIPPONE Antonio Filippone (62), di Canolo, residente a Roma; Giuseppe Fortebracci (56), di Roma; Alessandro Giorgi (39), di Cascina (Pisa); Domenico Larosa (29), di Polistena; LUCÀ Domenico Lucà (39), di Rosarno; Ernesto Madaffari (34), di Gioia Tauro; Rossano Marando (29), di Gioia Tauro; Angelo Politanò (33), di Taurianova; Francesco Spanò (39), di Taurianova; Rocco Nicoletta (22), di Polistena; Giuseppe Speranza (68), di Gioia Tauro; Rossella Speranza (40), di Gioia Tauro; Francesco Tripodi (20), di Cinquefrondi; Massimo Vallone (39), di Rosarno; Cosimo Virgiglio (43), di Rosarno; Gesuele Zito (29), di Polistena. Agli arresti domiciliari, infine, sono stati posti Antonio Morabito (54), di Reggio Calabria; Adolfo Fracchetti (68), di Bolzano e residente a Belfiore (Verona).

LA RETE DEL COMMERCIO ILLECITO

Una rete in grado da un lato di garantire ai cinesi  prezzi competitivi e dall’altro controlli praticamente azzerati. Le ‘ndrine sapevano come fare: complici due funzionari “amici” i boss  avevano messo le mani su uno dei moli più grandi del Mediterraneo, agendo come fossero un service per i cinesi, interessati all’arrivo delle merci, al profitto e al silenzio su questi “affari d’oro”. Erano le cosche a trarne maggior profitto, s’intende. Attraverso la  “Cargoservice srl”, si occupavano di tutto e in sostanza fornivano la loro “attività di rappresentanza doganale”. Nelle carte dell’inchiesta il racconto della fitta rete costruita da boss e affiliati delle cosche Molè e Pesce, imprenditori in odor di mafia e alcuni uomini dell’amministrazione doganale. Due nuovi funzionari qualche tempo fà sono stati trasferiti per motivi di sicurezza: avevano ricevuto minacce personali, per essersi messi di traverso a questo sistema, che tra l’altro reivestiva i proventi  in strutture immobiliari e alberghiere nel Lazio, dove da stamani sono in corso sequestri preventivi e alcuni arresti per riciclaggio. In particolare: la struttura alberghiera sequestrata a Monte Porzio Catone è «Villa Vecchia», formalmente intestata alla società Ita di Colleferro (Roma). I carabinieri hanno poi sequestrato il patrimonio e le quote sociali di tre società riconducibili a Cosimo Virgiglio, la «Cde» con sede a Sesto Fiorentino (Firenze), la «Virgiglio Project» con sede a Monte Porzio Catone e la «Virgiglio Receptivity», sempre a Monte Porzio Catone. Ancora una volta è nel Lazio e nel centro Italia, che si ripuliscono i capitali in ombra delle ‘ndrine, poiché qui le “famiglie” hanno il saldo controllo di una rete criminale e paramafiosa, capace di operare di comune accordo con i boss che sul territorio calabrese decidono e indirizzano. 

GIOIA TAURO, PORTO STRATEGICO PER INGRESSO MERCI E STUPEFACENTI

«Il porto di Gioia Tauro ha un interesse strategico per l’economia del nostro Paese e lo Stato incrementerà ogni tipo di controllo per ridurre non solo le attività criminali ma per impedire che l’economia virtuosa possa essere inquinata da attività di riciclaggio – ha dichiarato Piero Grasso – intervenendo alla conferenza stampa di stamattina a Reggio Calabria. Credo – ha aggiunto – che il clima in questa provincia stia progressivamente migliorando sotto il profilo del contrasto alla ‘ndrangheta. La capacità di reprimere i reati e di colpire le cosche è un forte segnale dello Stato che infonde fiducia e speranza nell’opinione pubblica. Anche in questa indagine emerge il duplice profilo della ‘ndrangheta: quello strettamente criminale, legato anche alla capacità di coinvolgere i ‘colletti bianchì, e il riciclaggio dei proventi frutto di attività illecite». Il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, ha sottolineato come «Gioia Tauro si conferma nelle mire della criminalità organizzata come una delle ‘portè principali di ingresso in Italia di merci contraffatte e stupefacenti. Nel corso delle indagini è anche emerso, grazie all’operato dell’Agenzia delle Dogane, che i cinesi avevano progressivamente spostato le attività di sdoganamento da Napoli a Gioia Tauro».  L’inchiesta “Maestro”, così denominat per sottolineare la mestria con la quale tutta l’operazione riusciva ad andare in porto ha –  secondo gli inquirenti  –  permesso di accertare anche lo stato di tensione esistente fra le due famiglie che detengono il controllo degli affari nella Piana, e le attività del porto, equilibri che sembravano appianati dopo il duro scontro che ha lasciato molti morti sul territorio calabrese, oggi sembrerebbero nuovamente in bilico.

 

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