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“Ho rotto l’omertà nel quartiere Libertà di Bari, per questo ho subito una aggressione mafiosa”

Maria Grazia Mazzola il . Giustizia, Informazione, Mafie, Puglia

Quella coltre di silenzi attorno al clan Strisciuglio-Caldarola nel quartiere Libertà di Bari. In sentenza e agli atti del Giudice, il valore del mio lavoro.

Lo scrive il Giudice, avevo ragione: il Giudice parla di omertà e silenzi, chi doveva pubblicare sul clan, tacque.

Nel quartiere Libertà di Bari, controllato dal clan Strisciuglio-Caldarola, ho rotto l’omertà, scrive il Giudice nelle motivazioni della sentenza. Una ‘ostinata’ giornalista non ha rinunciato al diritto-dovere di informare, queste le sue parole.

Depositate da giorni le motivazioni della sentenza di condanna della boss Laera: aggravante mafiosa e rottura dell’omertà nel quartiere Libertà di Bari.

“La giornalista Maria Grazia Mazzola non ha rinunciato al diritto-dovere di informazione, pur consapevole della caratura criminale delle persone che avrebbe incontrato”.

Il giornalista, di inchiesta, scrive il Giudice Anglana, costituisce una minaccia seria per le organizzazioni criminali, in quanto con il proprio lavoro è in grado di provocare un grave vulnus al muro di omertà che protegge, in una coltre di silenzio, le vicende criminali del clan mafioso.

Laera nell’aggredirmi il 9 febbraio 2018, si è avvalsa del metodo mafioso legato all’appartenenza al clan Strisciuglio. Con minacce di morte e aggressione fisica. È in sentenza.

È il Giudice Anglana che lo scrive nella sentenza che condanna a un anno e 4 mesi la boss mafiosa Monica Laera che mi colpì con un pugno il 9 febbraio 2018 perché osai indagare sul figlio in ascesa nel clan Strisciuglio.

Laera ritenne un affronto, scrive il Giudice, che io senza timore andai a porre domande sul clan nel quartiere Libertà, in un contesto palesemente omertoso. La boss, scrive il Giudice, mi aggredì nonostante io mi stavo allontanando, per esercitare platealmente il suo potere mafioso e intimidatorio. Le domande scomode sul figlio della boss Ivan Caldarola, portavano a conoscenza del pubblico, il reato increscioso di violenza sessuale di cui si era macchiato il giovanissimo, rampollo in ascesa al comando del clan. Fui pluriminacciata non solo dalla Laera ma anche dalla consuocera Angela Ladisa, moglie di un altro boss, con volgarità e pesante violenza verbale. “Ti ho fatto la fotografia!” minacciò Angela Ladisa (moglie del boss Mercante) che in gergo mafioso vuol dire, te la farò pagare.

Che marciume, che disgusto.

Una boss Laera ancora libera e io ho una mandibola rotta e un trauma cervicale.

Il Giudice Anglana scrive: “Il vulnus arrecata alla fama criminale della famiglia Caldarola, la cui forza di intimidazione e la indiscussa caratura mafiosa, erano messe in discussione …dinanzi alle persone, da una ostinata giornalista, che aveva osato chiamare boss il marito della Laera, alludendo finanche ai reati infamanti attribuendoli a suo figlio”.

Cenere sul capo di chi l’omertà invece nel quartiere Libertà l’ha alimentata anche non pubblicando mai che la boss Laera è mafiosa con sentenza in Cassazione dal 2006.

Cenere sul capo di chi tentò di manipolare i fatti, di chi tentò di isolarmi e di penalizzarmi professionalmente.

Grazie a: Libera con don Ciotti, con l’avvocata Vincenza Rando, con don Angelo Cassano, grazie ad Associazione Stampa Romana con l’Ordine Nazionale dei Giornalisti, grazie al Sindaco di Bari costituito parte civile, grazie alle mie sorelle UDI Vittoria Tola e Giulia Potenza, ai Centri Antiviolenza Renata Fonte e Giraffa, grazie alla mia Chiesa Battista, ai miei fratelli Salesiani con don Francesco Preite, Wikimafia, grazie a 450 Associazioni della Società Civile che mi hanno sostenuta, a Marilù Mastrogiovanni che non ha mai smesso di scrivere, grazie alla mia avvocata Caterina Malavenda della Rai, con l’avvocato Bello di Bari.

L’avvocata Malavenda mi ha scritto: “eccellenti le motivazioni del Giudice che non ha perso l’occasione di mettere agli atti l’importanza del suo lavoro”.

Fonte: Pagina Facebook Maria Grazia Mazzola

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