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Bari, il problema che “non c’è” e alcune false soluzioni

Di Alberto Spampinato* il . Puglia

La piovra è certamente l’immagine più espressiva fra quelle evocate per indicare la criminalità organizzata. Il gigantismo del polipo esprime in modo efficace la mostruosità della criminalità organizzata. Il groviglio dei suoi tentacoli dà l’idea della capacità di penetrare ogni ambito e al tempo stesso visualizza la molteplicità dei bracci violenti in azione. Ma l’immagine della piovra lascia in ombra due caratteristiche essenziali della mafia, la natura parassitaria e il potere di rendersi invisibile, due caratteristiche senza le quali sarebbe meno temibile, sarebbe tutt’ al più una consociazione di bande criminali.

La natura parassitaria. Nelle sue multiformi incarnazioni, la mafia è un organismo dotato di forte apparato intellettivo e di organi che le consentono di muoversi nel mondo puramente criminale, ma non è in grado di operare direttamente fuori da quel mondo. La piovra è un pesce che in mare è predatore e dominatore degli abissi, ma fuori dal mare non può respirare e dopo pochi minuti e soccombe. Poiché gli interressi della mafia sono fuori dal mondo criminale, nella società legale, per realizzare i propri fini egoistici, essa si avvale delle capacità di altri organismi: si impadronisce delle membra del corpo sociale, di parte delle istituzioni e della energie professionali piegandole ai propri fini o con la connivenza, o con il terrore, usando la violenza in modo spietato

L’invisibilità’. Per rendersi invisibile al corpo sociale, la mafia ricorre a vari mezzi: si camuffa e distoglie lo sguardo degli indiscreti. Li convince a guardare altrove. Li convince a trascurare il suo aspetto antisociale coinvolgendoli nei propri interessi o in vantaggiosi rapporti di scambio. Quando incontra degli irriducibili, li neutralizza con intimidazioni, minacce, ritorsioni. Se non si tiene conto di queste due caratteristiche non si comprende come una cosca di tipo familiare che fonda il proprio potere sul controllo capillare di un piccolo territorio comunale o sub-comunale la mafia diventare così potente, possa avere un’influenza così vasta al di fuori del proprio ambiente e in operazioni di portata sovranazionale. Se non si tiene conto di queste due caratteristiche non si capiscono i legami che la mafia instaura con piccoli e grandi personaggi della politica, con professionisti compiacenti, con imprenditori ed esponenti del vasto mondo degli affari, con quella zona grigia nella quale si realizza il tanto discusso reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”: cioè la collaborazione fra mafiosi e non-mafiosi, con reciproco interesse.

Spegnere le luci. Questi rapporti insani fra criminali e illibati cittadini sarebbero impossibili alla luce del sole. Devono essere resi invisibili. si può ottenere lo scopo attenuando in vario modo le luci investigative, frenando o condizionando le indagini giudiziarie e di polizia e, come abbiamo detto, spegnendo l’informazione giornalistica. Il primo aspetto è di enorme importanza. Mi limito ad enunciarlo, poiché esula da questa trattazione. Il secondo punto, invece, ci porta al cuore del problema dell’informazione sulla mafia.

L’auto – censura. Come si fa a impedire una tempestiva, corretta e completa informazione giornalistica sulle attività della criminalità organizzata, visto che i giornali e i giornalisti non stanno dalla parte della mafia, tranne forse qualche mela marcia? Innanzi tutto propagandando l’idea che “la mafia non fa notizia”; in secondo luogo, influenzando, con le buone o con le cattive, l’informazione locale, quella più radicata nel territorio, quella che costituisce l’avamposto della raccolta delle notizie; in terzo luogo, imponendo una sorta di censura preventiva, attraverso la forzature delle regole, con un clima di intimidazioni e, dove ciò non basta, con l’uso esplicito della violenza. Il giornalista che osa ignorare queste imposizioni, che osserva la zona grigia spingendosi oltre il limite di riguardo tracciato dai boss, entra in un terreno difficile. V iene isolato. “Chi te lo fa fare?”, gli dicono i giornalisti più prudenti. Deve difendersi da iniziative che puntano a screditarlo. Se resiste, in crescendo, subisce pressioni, avvertimenti, minacce. Di fronte a tutto questo, il più delle volte desiste, tace, dimentica ciò che ha visto. Lo fa per paura, per quieto vivere, perché resta solo. Molti cronisti rinunciano a raccontare quel che avviene. Si cuciono la bocca. Fingono di non vedere. In altre parole si rifugiano nell’auto-censura.

L’oscuramento. Di conseguenza, mentre gli affari sporchi, i comportamenti illeciti e gli interessi della criminalità organizzata prosperano, molte notizie che potrebbero aiutare i cittadini ad orientarsi, che potrebbero danneggiare il malaffare e chi ne ricava vantaggi, restano inedite. In altre parole, solo una parte della scena pubblica rimane illuminata, il resto viene oscurato. E’ un grave problema, e non è nuovo. E’ endemico dove la democrazia è debole o ancora incerta. Ma si verifica anche nelle nazioni più avanzate e democratiche. Anzi proprio in esse negli ultimi anni si è manifestata una recrudescenza del male, a fronte di un indebolimento generale del giornalismo di cronaca e di inchiesta, dell’informazione primaria basata sull’osservazione diretta dei fatti senza intermediari. Questo affievolimento si è realizzato gradualmente. Mutamenti tecnologici e sociali realizzati senza le dovute accortezze hanno indebolito i giornali locali, tradizionali avamposti della raccolta delle notizie sul territorio, veri presidi della pluralità dell’informazione. Molti piccoli giornali, e fra questi i più anticonformisti, sono usciti dal mercato e hanno cessato le pubblicazioni disperdendo un prezioso patrimonio di professionalità e di radicamento; altri giornali non hanno cessato le pubblicazioni, ma sono diventati terminali passivi di catene stellari che pubblicano contenuti in gran parte scelti lontano dall’area di diffusione; fra i giornali che resistono, i più solidi hanno posizioni dominanti sul territorio e una funzione sempre più accentuata di collettori di pubblicità e di notizie a pagamento o, come si suole dire, “in convenzione”, sulla base di contratti che spesso contraddicono alcuni requisiti fondamentali della libertà dell’informazione : l’autonomia e l’indipendenza dalle fonti. Al loro posto sono nate radio private e tv locali che il più delle volte non hanno come fine primario quello di raccogliere e di diffondere le notizie secondo i canoni del giornalismo, che implicano una presenza strutturata e una organizzazione professionale e il rigoroso rispetto dei requisiti della completezza, della tempestività, dell’autonomia dalle fonti e del pluralismo delle voci, e il rispetto dei diritti e delle prerogative delle persone di cui si parla.

Internet non è la soluzione. Negli ultimi anni, con la diffusione di Internet, sono nati e si sono moltiplicati blog e giornali on-line che, da un lato, occupano un vuoto, ma dall’altro, tranne rare eccezioni, presentano gli stessi difetti. Come rilevato il 30 maggio 2009, in occasione del conferenza dei ministri delle comunicazioni che si è riunita a Reykjavik per iniziativa del Consiglio d’Europa, questi nuovi media non sono in grado di sopperire “al ruolo fondamentale per la democrazia” finora svolto dalla carta stampata e ora messo in crisi dalla crisi a livello internazionale dei giornali tradizionali, e ciò ha pesanti ripercussioni sulla vita democratica dei vari paesi. E ciò per varie ragioni: per la frammentazione delle voci, perché si rivolgono a un numero molto limitato di cittadini e, soprattutto, come ha spieg
ato Karol Jakubowicz, consulente del Consiglio d’Europa, perché ‘’internet attualmente usa come fonte proprio quei media tradizionali che sono in crisi. Se questi media tradizionali vengono meno – ha aggiunto – su internet verranno offerte sempre più ‘soft news’, cioè storie di vita e intrattenimento’’, accentuando così la tendenza in questo senso che si sta affermando da tempo nei media tradizionali che non riescono più a garantire la stessa qualità dell’informazione, perché le loro proprietà sono passate in gran parte a investitori finanziari che mirano solo al profitto. Il problema è che le soft news costano meno delle hard news . La conseguenza è che i cittadini sono privati di fonti di informazione complete e attendibili, e non possono seguire il dibattito pubblico.

Il cono d’ombra. In Italia, nelle regioni a più forte radicamento mafioso, a queste e ad altre ragioni generali bisogna aggiungere le pressioni mafiose, le connivenze e la diffusione di notizie a pagamento. Il queste regioni l’oscuramento del pianeta informazione è molto esteso. Nel cono d’ombra entrano le attività criminali e ampi settori di attività pubblica. Un fenomeno che meriterebbe una più attenta considerazione da parte delle istituzioni, degli organi di garanzia, dei giornalisti, di chiunque ha a cuore i principi universali della libertà, poiché l’informazione libera, completa, pluralista è l’ossigeno necessario alla democrazia per respirare, e queste forme di oscuramento lasciano intere aree del paese con poco ossigeno informativo. In queste regioni questa emergenza è più urgente e drammatica perfino dell’allargarsi del buco dell’ozono nell’alta atmosfera.

Un diritto poco rivendicato. Per fermare la deriva dell’oscuramento, ha segnalato fra gli altri Aidan White, presidente del sindacato europeo dei giornalisti, è  necessario che i giornalisti e le istituzioni sviluppino iniziative nuove, più adeguate di quelle finora realizzate. La prima esigenza che si avverte è quella di diffondere fra i cittadini, fin dalla formazione scolastica, la consapevolezza della situazione e la coscienza che occorre difendere la libertà di stampa per difendere la libertà tout court, e per fermare l’avanzata corruttrice delle mafie all’interno del mondo politico, economico e finanziario, che determina una desertificazione dei diritti e della democrazia.

Sarebbe utile che a scuola gli studenti apprendessero insieme ad altri principi basilari che i documenti fondamentali delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, la Costituzione Italiana, la Carta dei Diritti dell’Uomo sanciscono il loro diritto di essere informati e il dovere dei giornalisti di informarli, e imparassero a riconoscere i casi in cui si deroga a questi principi in modo subdolo e strumentale. Sono molti i casi in cui si invoca uno stato di emergenza che non c’è; i casi in cui si invoca impropriamente il rispetto assoluto della privacy nei confronti dell’operato di personaggi pubblici per i quali invece si dovrebbe pretendere la massima trasparenza, o i casi in cui impropriamente si liquida spregiativamente come giustizialismo una legittima aspettativa di giustizia; o i casi in cui si prende di mira con altrettanto ingiustificabile disprezzo il vero garantismo; o, infine, infine i casi in cui semplicemente si fanno prevalere convenienze politiche, opportunismi o esigenze di bilancio delle aziende editoriali per ridurre le strutture dell’informazione giornalistica primaria al di sotto degli standard minimi.

I cittadini dovrebbero essere in grado di distinguere l’informazione senza qualità come distinguono le frodi al mercato alimentare. Dovrebbero essere istruiti a riconoscere e contrastare i tentativi di privarli di un diritto fondamentale: quello di avere una informazione tempestiva, completa e veritiera. Dovrebbero pretendere più attivamente che i giornali pubblichino “tutte” le notizie, anche quelle sgradite a chi detiene il potere o a chi è proprietario del giornale o a chi lo finanzia o a qualcuno che potrebbe sparare.

Un tema cancellato. L’oscuramento dell’informazione sulla criminalità organizzata è particolarmente avvertito nelle regioni del paese in cui le mafie sono più radicate. Si manifesta sotto forma di disattenzione e disinteresse per questo tipo di informazioni. I giornali privilegiano altri argomenti, impiegano gli spazi e le risorse giornalistiche con criteri non sempre giustificabili sul piano oggettivo, con scelte univoche che penalizzano le informazioni più delicate; scelte che da un decennio si sono accentuate fino ad arrivare alla pressoché totale scomparsa del tema ‘mafia’ dai notiziari di cronaca. Sono diventate rare le inchieste, le analisi, le notizie originali basate sull’osservazione diretta di ciò che accade nella zona grigia in cui si realizza lo scambio di favori fra settori legali e illegali. Sempre più spesso, prima riferire notizie sul comportamento poco trasparente o irregolare di un pubblico amministratore o di un personaggio politico i media attendono che i fatti siano entrati in un fascicolo giudiziario, e perfino quando ciò avviene le riferiscono con avarizia e parzialità: è emblematica la disattenzione di pressoché tutti i giornali per i vari tronconi del processo “Spartacus” che ha visto ala sbarra i capi storici dei clan dei casalesi, nelle varie fasi celebrate a Caserta e poi a Napoli. Questa disattenzione è rimasta anche dopo la pubblicazione del best sellers “Gomorra”, e anche dopo che i boss, nel 2008, hanno minacciato in aula lo scrittore Roberto Saviano e la cronista del “Mattino” Rosaria Capacchione, una cronista del “Mattino” di Caserta che ha seguito tutto il processo, è stata spesso l’unica cronista presente, l’unica a raccontare certi risvolti sfavorevoli ai boss. Anche per questo è stata minacciata di morte e costretta a vivere sotto scorta.

Il caso Capacchione dimostra che è pericoloso fare la cronaca fedele dei fatti o delle udienze di mafia, ma è possibile. Gli inviati che vanno a seguire questi fatti raccolgono le informazioni e tornano nel loro mondo. Per i cronisti che vivono nella stessa terra sulla quale i boss hanno influenza è più pericoloso. I boss e i loro complici li temono perché sanno che sono gli unici in grado di cogliere nessi, risvolti e collegamenti storici che sfuggono. Lo sanno anche i grandi inviati, che li usano come testa di ponte e banca dati. Per questi cronisti locali esperti della materia il lavoro è pericoloso anche perché, spesso, sono soli raccogliere queste notizie. Sono soli perché gran parte dei giornalisti dei giornali e dei notiziari radio televisivi, compresi quelli del servizio pubblico, non fanno la loro parte, non svolgono il ruolo attivo, critico, indipendente di testimoni diretti dei fatti, dall’interno dei fatti, nell’interesse dell’opinione pubblica.  (leggi la seconda parte dell’intervento).

* Coordinatore nazionale di Ossigeno – Osservatorio sui cronisti minacciati

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