Sandro Pertini, una vita per la democrazia
“Come si dichiara?”.
“Colpevole!”.
Il tribunale nel 1925 era saldamente ancorato nel palazzo cinquecentesco dei Della Rovere e nel regime fascista. A Savona solo un giudice, Nicola Panevino, lo combatteva per la sua fede democratica: fu fucilato a soli 35 anni.
Il luogo della presunta giustizia savonese era presidiato militarmente dalle squadracce nere, ma vi erano pure gli oppositori, diffusi, impercettibili.
Sandro Pertini campeggiava col petto in fuori, incurante delle sofferenze patite e da patire ancora. Fino ad allora non gli avevano sparato, ma di bastonate dai “boia chi molla” ne aveva prese tante.
“Allora, Pertini, ammette di aver commesso i reati contestati? – chiese il presidente con voce ferma, ma anche esitante, insicura, indulgente -. Le si addebita di aver distribuito un opuscolo clandestino, stampato a sue spese, dal titolo “Sotto il barbaro dominio fascista”, di aver accusato la monarchia di corresponsabilità col fascismo, di aver imputato quest’ultimo di illegalità e violenze, nonché la gran parte dei senatori di connivenza”.
“Sì, presidente! Disconosco invece le norme tiranne che mi condannano!”.
“Signor pubblico ministero?”.
“Il massimo della pena!”.
“Avvocato?”.
“Mi rimetto alla clemenza della corte!”.
“Viva la libertà!” gridò Sandro nella potenza delle sue convinzioni, che non aveva voluto barattare con una sanzione più lieve.
L’emozione per l’ingiustizia compiuta era tangibile, corporea, espansa. Lo stesso maresciallo dei Carabinieri, nel rimettergli le manette per portarlo via, singhiozzava.
Rimase in carcere per otto mesi filati. La notte dormiva poco. Si alzava e ricoricava, si alternava il ronzare cerebrale che la giovinezza si andasse dileguando, diseredata dalle sbarre. Era disorientato, ma ritornava puntuale la voglia di lottare. Pensava costantemente alla mamma, al dolore che le procurava per le sue idee, mai tenute nel taschino, ma esibite tutte le volte che era necessario. L’aveva scorta in un angolo dell’aula e gli occhi gli si erano rigati d’amore e rabbia.
Donna Giovanna ottenne un colloquio e fra l’altro gli riferì: “Ho incontrato per strada il presidente del tribunale. Mi ha confortato: Signora, non potevamo agire diversamente, era reo confesso!“.
Me lo raccontò proprio Pertini nel 1984 in una lunga telefonata.
Ovviamente, appena uscito, Sandro riprese l’impegno contro la dittatura, scrivendo brani di storia repubblicana.
È per me un punto di riferimento, assieme a papa Giovanni, il “papa buono”, e a mia nonna.
Sandro Pertini oggi compirebbe 125 anni.
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