Genova multietnica. La città più meticcia del nord ha il suo festival di cultura africana
In piazza Caricamento a Genova, ai primi di novembre del 2008, ci fu una grande euforia. Barak Obama era appena stato eletto presidente degli Stati Uniti.
Nel grande brulichio del primo mattino accanto al Porto antico era tutto un chiamarsi “Obama” tra gli africani genovesi. E così i baristi e i commercianti locali chiamavano i loro ospiti di colore. Non è dunque un caso se quell’area meticcia e scintillante della città è la stessa in cui si tiene quella originalissima manifestazione genovese che è il Suq Festival.
Un appuntamento annuale inventato nel 1999 da due donne con storie di eventi e di teatro: Carla Peirolero e Valentina Arcuri. Retto fondamentalmente da donne. Tagliato su misura per la città del Nord più aperta per definizione. L’idea di ospitare insieme poesia, musica, teatro, letteratura del continente africano (ma non solo), usando il nome simbolo dello scambio: il mercato.
Carla è una signora colta e tenace. Un passato nel teatro genovese e maestri prestigiosi, ha aperto con il fiato sospeso questa nuova edizione, la ventitreesima, vent’anni dopo il G8, a cui è stato dedicato un appuntamento speciale. Una vera sfida: il primo rilancio delle pubbliche arti dopo la gelata del lockdown, rinunciando agli assembramenti e alle promiscuità che costituivano una delle ragioni di fascino del festival. Sfida vinta grazie a diversi successi importanti.
Energia e inventiva pura negli spettacoli per bambini, che hanno ospitato tra l’altro una deliziosa piéce sulla città africana (nel caso Marrakesch) raccontata da un suo abitante attraverso polveri colorate e parole e musiche cariche di ironia. Giuro che studiare le espressioni dei bambini e le fatiche delle loro maestre è stata una esperienza di pace interiore per il vostro corrispondente.
Ma il successo maggiore è stato forse lo spettacolo (splendido) sul razzismo. Una attrice-danzatrice, Bintou Ouattara, vorticosa nel suo monologo, musiche evocatrici di mondi lontani e battute fulminanti: “il razzismo è come il pulviscolo nell’atmosfera; non si vede ma un certo punto un raggio lo illumina”; “sui libri di storia si legge che un giorno un signore di nome Martin Luther King tenne un bellissimo discorso davanti a centinaia di migliaia di persone e il razzismo finì”. Per tacere del monologo musicato improvvisato da Mohamed Ba, grande attore senegalese.
Carla Peirolero scruta il pubblico, in mezzo ai tavoli delle cucine etniche. Soddisfatta ma inquieta. Sta andando bene.
“Potrebbe essere un grandioso appuntamento per Genova. Ma funziona al di sotto delle sue possibilità. Il budget messo insieme faticosamente è di 140mila euro. Qualche esperto ha visto il programma di quest’anno e lo ha stimato sulle 500. Non abbiamo una sede, anche se ci abbiamo provato a presentare dei progetti su luoghi pubblici, proponendo il principio dell’autosufficienza gestionale. Credo che conti anche un po’ di pregiudizio. Inconscio naturalmente. Forse se facessimo un festival della ceramica giapponese saremmo più appoggiati. Eppure siamo una risorsa per la città. Pensi che ormai facciamo da agenzia di intermediazione per i contatti con i popoli africani o del Medio Oriente. Enti o associazioni chiedono a noi di aiutarli a trovare ora un intellettuale palestinese, ora un esponente dell’associazionismo afghano. Il ricordo più bello? Fu una decina d’anni fa, con la giornata della donna immigrata. C’erano donne di ogni nazionalità: Ucraina, Ghana, Nigeria, Iran, Ecuador, Indonesia, Marocco, Perù…Tutte vestite a festa, come se la stessa vita desse spettacolo. Una folla enorme. Il prefetto regalò a tutte una piantina di basilico e tutte diedero in cambio scialli o oggetti artistici delle loro tradizioni.”
Poi lo sguardo che cerca complicità: “Lì sta il significato vero del Suq festival. E oggi più che mai, con l’aria che tira, occorrerebbe valorizzarlo. O no?”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 06/09/2021
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