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Una norma rischiosa

Di Aldo Cimmino il . Campania

Francesco Menditto, giudice del Tribunale del Riesame di Napoli, in rappresentanza dell’Associazione Nazionale Magistrati della Campania, ha aderito alla campagna di Libera contro l’emendamento che prevedeva la possibilità di vendere i beni confiscati alla mafia. 

Dottor Menditto, rispetto alla legge 109/96 che introduce per la prima volta in Italia il riutilizzo sociale dei beni  confiscati alla mafia, come si pone l’emendamento all’attuale legge finanziaria che vuole invece la vendita dei beni stessi?

È chiarissimo che questo emendamento e quindi questa modifica delle legge finanziaria tradisce la legge 109/96. Questa legge, per la quale Don Ciotti e Libera hanno dato l’anima, prevedeva l’utilizzo a fini sociali dei beni sequestrati e confiscati dallo Stato per due ragioni: in primo luogo per toglierli alle mafie; in  secondo luogo, riutilizzarli per fini sociali, non solo perché è opportuno che ci sia una finalità sociale al bene ma anche per riaffermare la legalità dello Stato sul territorio. In sostanza nel bene dove viveva il mafioso oggi ci deve stare o una caserma dei carabinieri o un centro per disabili. Questo è stato fatto fino ad oggi. Se il bene invece viene venduto si tradisce lo spirito di questa legge.

L’approvazione di questo emendamento riporterebbe indietro la legislazione antimafia di circa ventisette anni…

Si torna assolutamente indietro, in quanto non si riuscirà a destinare i beni nei termini previsti dalla nuova proposta normativa. I beni quindi saranno venduti, andranno in mano ai privati, nel migliore dei casi, ma la maggior parte di essi ritorneranno alle mafie. Facciamo quindi un passo indietro terribile; per giunta la legislazione antimafia è una legislazione molto delicata e quando la si tocca, bisogna fare molta attenzione perché ci sono degli effetti dirompenti. Questa è una norma che apre uno spiraglio enorme anche per effetti che saranno visibili in futuro.

Per quanto attiene al rischio che i mafiosi ritornino in possesso dei loro beni, l’emendamento prevede che la competente agenzia del demanio chieda al prefetto della provincia interessata, tutte le possibili informazioni perché  i beni non vengano acquistati dai prestanome o da persone comunque collegate alla criminalità organizzata. È una garanzia sufficiente secondo Lei?

È apparenza e non è una garanzia. Io faccio il giudice della prevenzione e quindi sono abituato a “scovare” i prestanome. Il discorso è molto più complesso per il fatto che la camorra, le mafie in genere,  hanno risorse economiche immense che gli permettono di trovare le modalità per violare la legge e quindi per trovare e utilizzare i prestanome che sono poi difficilmente individuabili. È vero che il prefetto deve fare accertamenti cosi come anche il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica ma sicuramente sfuggiranno, a questi controlli, una gran quantità di persone che si intesteranno beni; apparentemente saranno persone pulite ma in sostanza i beni ritorneranno ai camorristi e alla mafia. Questo è un dato di esperienza che ci permette di parlare a voce forte.

Questa sferzata del legislatore sui beni confiscati, per cui se non vengono destinati entro un termine breve sono venduti, non è un caso isolato. Di recente è stato presentato un disegno di legge che prevede che se i processi penali non si concludono entro un termine breve sono cancellati. Sono soluzioni accettabili? 

Si è entrati in quest’ottica per cui invece di risolvere il problema a monte, investendo risorse e risolvendo i problemi seri che affliggono il sistema della giustizia con riforme normative serie, si cerca di mettere nel nulla con accelerazioni solo formali. Il giudice deve concludere il processo in un termine breve altrimenti questo è annullato. La soluzione evidentemente non è questa; si dovrebbe cercare di fare in modo che il processo sia effettivamente breve. Questo risultato lo si può ottenere non annullando i processi dando risorse e mezzi. Sarebbe come se, facendo un esempio, non essendoci abbastanza medici ed abbastanza ospedali, la soluzione sarebbe quella di eliminare gli ammalati. La soluzione, al contrario, sarebbe quella di dare più ospedali. In questo caso la soluzione sarebbe quella di mettere in condizioni la giustizia di fare effettivamente il suo corso.

Anche sulle intercettazioni sono state previste pesanti proposte di riforma che se venissero approvate intralcerebbero le indagini antimafia. La politica quindi è come se stesse intralciando il lavoro della magistratura?

C’è un problema oggi tra politica e giustizia, nel senso che la politica, questa politica, sta creando una serie di problemi al funzionamento della giustizia, anche in materia di lotta alla criminalità organizzata. Sulle intercettazioni telefoniche, il disegno di legge creerà una serie di problemi investigativi, molti reati non saranno proprio più scoperti, se passerà questa riforma. Anche in materia di indagini antimafia avremo molti più problemi ad eseguire intercettazioni. L’esperienza concreta insegna che attraverso le intercettazioni si individuano una quantità di reati e una quantità di camorristi e mafiosi ma anche una quantità di usurai, stupratori, rapinatori. È chiaro che in questo modo non si aiutano i cittadini ad avere fiducia nelle istituzioni e nello Stato.

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