Il “potere” della Massoneria da Mazzini e Cavour ai nostri giorni
Recensione a Ferruccio Pinotti, Potere massonico, Chiarelettere, Roma, 2021
Il lavoro di Ferruccio Pinotti, giornalista e «consulente della Commissione Antimafia», intitolato Potere massonico (Chiarelettere, Roma, 2021, pp. 751), è articolato in cinque parti: a) Lo Stato italiano e la massoneria; b) La Repubblica italiana tra squadra e compasso; c) Massoneria, ‘ndrangheta e mafia: il “patto” inconfessabile; d) I canali della ricchezza massonica; e) Viaggio nelle obbedienze massoniche italiane.
In breve, l’A. parte dal conte di Cavour, il grande tessitore dell’unità d’Italia, che sarebbe stato massone, per giungere ai molti che oggi tentano di disfarla e che sarebbero, in buona parte, pure essi massoni.
L’A. è, tuttavia, un giornalista, tanto scrupoloso nel raccogliere le notizie e nel citare la letteratura esistente quanto disattento nel valutarne, rispettivamente, l’attendibilità e la serietà. Per questa ragione, tutti gli innumerevoli protagonisti del libro e della storia patria o sono massoni, o sono stati detti massoni, o hanno un parente o un amico massone o hanno avuto “contatti massonici”. Ma se tutti sono massoni e tutto il potere è nelle mani dei massoni, che senso ha studiare la massoneria o il “potere massonico”? Non sarebbe più semplice studiare il potere, dando per scontata e per ovvia la sua massonicità?
Le cose, a mio parere, stanno in altro modo e qui di seguito pubblico alcune note che ho avuto occasione di mettere insieme durante la laboriosa lettura del lungo lavoro.
Parto dal principio, cioè dall’introduzione che è di Aldo Cazzullo, il famoso giornalista. Cazzullo parte dagli uomini illustri, italiani e stranieri, che sono stati massoni e ad essi aggiunge Giuseppe Mazzini, avvertendo: «Più controversa sul piano storiografico, ma ormai sostanzialmente accertata, [è] l’appartenenza alla massoneria di Giuseppe Mazzini».
Curiosamente, le stesse cose, nella stessa sequenza, vengono dette da Pinotti in una nota delle prime pagine (nota 4, pagina 9): «Della massoneria hanno fatto parte figure come Vittorio Alfieri, Nino Bixio […] e Salvatore Quasimodo. Controversa sul piano storiografico, ma ormai accertata, l’appartenenza di Giuseppe Mazzini».
Siamo di fronte, sicuramente, ad un infortunio digitale e sarebbe vano chiedersi come sia avvenuto. La questione importante, invece, riguarda Mazzini, che non fu mai massone e non diede mai ad alcuno l’occasione di chiedergli che cosa dovesse a se stesso, alla patria e all’umanità. [Era questa la domanda che veniva, di regola, rivolta agli iniziandi quando venivano ammessi in loggia]
Nei Doveri dell’uomo Mazzini scrisse: «L’Associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, arme di guerra legittima dove non è Patria né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l’inviolabilità del pensiero. Se l’associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev’essere sottomessa all’esame e al giudizio di tutti».
In coscienza, possono queste parole suggerire l’idea che Mazzini abbia fatto parte della massoneria che, come dice anche Pinotti, è associazione segreta, per natura e per storia?
Per Cavour è egualmente difficile pensare ad una sua iniziazione: egli spinse certamente Costantino Nigra a creare una massoneria contrapposta a quella di Garibaldi, ma morì con i sacramenti e sarebbe fuori luogo immaginarlo col grembiulino. Cavour, in sostanza, usò la massoneria allo stesso modo in cui usò la contessa di Castiglione quando, per fare l’Italia, la spinse tra le braccia di Napoleone III.
Passo alla marcia su Roma. È certo che quella marcia fu finanziata dalla massoneria di palazzo Giustiniani [l’A., su questo punto, però, tace], ma sarebbe stata resa memorabile dalla sfilata di gerarchi appartenenti a piazza del Gesù, essendo pessimi i rapporti fra le due massonerie. Tutto ciò è assai strano: equivale a comprare un teatro e cedere la scena e lo spettacolo alla concorrenza.
Queste notazioni, remote, si appaiano con un altro problema: che cosa è il “potere massonico”? Francesco Crispi, uno statista dalla lunga e compiuta vocazione massonica, il 15 maggio 1885 scrisse a Ludovico Fulci, venerabile della loggia “Mazzini e Garibaldi” di Messina:
«Venerabile Fratello e caro Ludovico, l’assunzione delle supreme responsabilità di governo dell’Ordine da parte del Potente Fratello Adriano Lemmi [dal 16 gennaio 1885], asseconda il compimento dell’opera nostra di riunificare sotto un solo tetto le diverse comunioni massoniche attive in Italia. Credo io che in tutti affiori chiara la visione della magnifica missione che nell’ora presente può all’Ordine spettare nel governo del pubblico amministrare e del costume politico. È questa una opportunità preziosa. Il defunto fratello Giuseppe Poerio [patriota calabro-napoletano, padre di Carlo], che ebbi la fortuna e l’onore di conoscere poco prima che morisse, mi illustrò con l’entusiasmo d’altri tempi ciò che i francesi di Napoli fecero in pochi anni, edificando l’intero ordine degli uffici con quel segno massonico che anche noi tentammo nel ’48 con “I Rigeneratori” e ancora dopo la fondazione del Regno, con la rinata loggia. Ad alcuni fu, però, sgradito il nostro ardire di voler dare agli anziani ed ai giovani nelle officine la cultura dei pubblici affari. Io oggi, mi spingo oltre! L’intero ordine sociale e politico può dalle logge governarsi offrendo stabilità e fiducia nel prosieguo dell’azione di governo. A breve riceverai la parola del Gran Maestro che esorterà in questa medesima direzione tutti i venerabili. […]»
La lettera di Crispi – pubblicata da Marcello Saija in Francesco Crispi, Rubbettino, 2019, pp. 229-230 – è un documento decisivo per avere nozione del potere massonico, che tendenzialmente è assoluto riguardando l’«intero ordine sociale e politico».
Naturalmente, lungo le vie variegate e tortuose della storia italiana, europea e mondiale l’idea dei francesi a Napoli [vi portarono la rivoluzione passiva, scrisse Vincenzo Cuoco] e di Crispi ha avuto alterne fortune, avendo dovuto fare i conti con altri poteri e altre forze. Tuttavia, a me pare che sia restata costante la tentazione di sostituire alla sovranità divenuta popolare una sovranità affidata a intimi e proculi, precedentemente scelti all’interno delle logge.
Per questa ragione è necessario studiare le logge, il circuito reale della «catena» [detta «dell’unione»] con cui ogni massone è legato agli altri. Allo stesso tempo, il proliferare delle massonerie impone problemi di non facile, e spesso impossibile, soluzione. Nel caso stesso di Crispi sarebbe necessario quello che finora non è stato sistematicamente fatto; verificare, cioè, in concreto tutti i passaggi e i nessi massonici che gli consentirono di dare forma allo Stato in Italia.
Delle massonerie nate o rinate dopo la caduta del fascismo [erano 45], non mi sono mai occupato, so pochissimo e la lettura del lavoro di Pinotti sollecita soltanto qualche impressione. Resta per me incredibile, per esempio, l’affermata appartenenza di Francesco Saverio Nitti «alla» massoneria [p. 61]. Essa contrasta con due circostanze certe e inoppugnabili: a) nel maggio 1920 il Gran Maestro Torrigiani sottopose a processo massonico Alberto La Pegna e gli altri pochi massoni che e perché erano entrati nell’ultimo ministero guidato da Nitti; b) nel 1945 Nitti rientrò in politica e il suo discorso al San Carlo di Napoli venne per intero pubblicato dall’Osservatore romano.
Doverose sono le domande che ne derivano: nel 1945 Nitti avrebbe usato l’Osservatore romano – e l’Osservatore romano, che faceva allora capo al Papa Pio XII, si sarebbe fatto usare – per nascondere meglio il terribile segreto? E nel 1920 Torrigiani avrebbe contribuito alla caduta dell’ultimo ministero Nitti per meglio tutelarne l’attività massonica? Sono domande prive di logica e perfino di senso comune e si formulano, qui, al solo scopo di sottolineare che la “critica” delle fonti è dovere prima di chi scrive e soltanto, alla fine, di chi legge.
Suscitano perplessità il «Grande oriente della Sardegna» e la “vicinanza” di Alcide De Gasperi alla massoneria [p. 66] mentre, più avanti nel libro e più vicini a noi negli anni, il lettore rischia l’annegamento nel fiume di affermazioni, smentite, fatti, misfatti, verità, mezze verità, dicerie e leggende fiorite intorno al “potere” massonico, che, nel lavoro di Pinotti, resta spesso indistinto rispetto al potere delle singole massonerie.
Dalla nascita della Repubblica, poi, il fatto epocale è che i rapporti di forza tra potere massonico e poteri di altra natura è da misurare su scala non solo nazionale ma internazionale.
Che l’Italia sia stata un proconsolato dell’impero americano è un fatto incontrovertibile. Personalmente, credo che sia stato un bene; oggettivamente, è un fatto. E il potere imperiale si è valso di massoni e cattolici, dello Stato e di veri e finti sovversivi, di uomini probi e di delinquenti, per esistere e perpetuarsi.
Tutti queste ragioni spingono a non apprezzare sempre e del tutto il lavoro di Pinotti. Per chi affronta le selve “selvagge, aspre e forti”, il problema non è raccogliere tantissime notizie ma vagliare quelle che si usano. Ancora, il problema non è fare titoli ammiccanti, ma documentare fatti e circostanze; il problema non è gridare al lupo – che è, peraltro, un animale come gli altri – ma indicare dove esattamente si trova. Predicare un potere massonico multiforme e assoluto, non contestualizzato e non definito, rischia, altrimenti, di essere, ed è sicuramente in una certa misura, un manifesto di arruolamento per quanti aspirano, come diceva Nitti, «a qualcosa». Quale che sia.
Nelle conclusioni, infine, l’A., che è stato o è consulente della Commissione Antimafia, propone una legge nazionale che, come in Sicilia e Toscana, renda obbligatoria, per chi occupa cariche pubbliche, la dichiarazione della propria appartenenza alla massoneria; e una legge che vincoli «le principali obbedienze massoniche al deposito degli elenchi dei propri appartenenti a condizione che siano tutelate le ragioni della privacy».
Non sono proposte nuove; ci si può e ci si deve chiedere perché sia opportuna una legge per le principali obbedienze soltanto, e non per tutte. Gli effetti placebo, che possono derivare da queste proposte di legge, mi pare che possano assimilarsi all’esortazione – che rivolgo volentieri a storici, a giornalisti, a massoni e a comuni cittadini – di leggere e rileggere i Doveri dell’uomo di Mazzini, che non fu massone.
Fonte: Questione Giustizia
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