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‘Io posso’, in edicola con Il Fatto Quotidiano il libro di Lillo e Pif

Paper First/Il Fatto Quotidiano il . Recensioni

Oggi esce in tutte le edicole d’Italia in co-edizione Paper First con Feltrinelli, in allegato con Il Fatto Quotidiano, il libro Io posso scritto con Pif e dedicato alla storia di resistenza civile delle sorelle Maria Rosa e Savina Pilliu.

Gli autori devolveranno i diritti d’autore per permettere alle sorelle Pilliu di pagare la cartella esattoriale inviata lo scorso anno dall’Agenzia delle Entrate. Una richiesta assurda di tasse su un risarcimento mai incassato dopo 30 anni di battaglie legali contro la società di un costruttore legato alla mafia. L’uscita in edicola è l’occasione per fare un bilancio di questa operazione con Pif, in un dialogo un po’ surreale tra co-autori.

Pif, è trascorso più di un mese dall’uscita in libreria, il 27 maggio scorso. Come è iniziata questa storia di Io posso?

Ovviamente lo sai bene, però fingo che le tue domande siano mosse da sincera curiosità e spiego ai lettori. La nostra molla è la stessa dei lettori che lo stanno comprando: il desiderio di cambiare qualcosa. Questo è il senso del titolo: “Io posso”. Tutti insieme possiamo cambiare il finale di una brutta storia iniziata 30 anni fa a Palermo. Noi abbiamo ceduto i diritti d’autore e con questi soldi vogliamo aiutare le sorelle Pilliu, che hanno lottato per 30 anni contro la prepotenza mafiosa, e ora si trovano lo Stato che gli chiede pure 22 mila e 800 euro con una cartella esattoriale ingiusta.

Allora visto che sei il più bravo su piazza a semplificare le storie, anche di mafia, vediamo se ci riesci con questa che è davvero un garbuglio.

Provo a rinfrescare la memoria ai lettori del Fatto, che la conoscono bene, sintetizzando al massimo: trent’anni fa un costruttore – poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa – vuole comprare e abbattere una fila di casette a Palermo di fronte al Parco della Favorita. Ha bisogno di spazio per costruire alla distanza legale un palazzone di 9 piani. Tutti cedono alle sue offerte, ma le sorelle Maria Rosa e Savina Pilliu dicono no. Il costruttore se ne infischia e dichiara falsamente al comune che le casette sono già sue, corrompe l’assessore, abbatte le altre confinanti e danneggia le casette delle Pilliu. Loro, donne sole e sarde, si ribellano al maschio siciliano e denunciano tutto. Alla fine lo fanno condannare per concorso esterno e per falso e corruzione. Lo Stato, dopo 30 anni, riconosce che la società costruttrice ha danneggiato le casette e riconosce 780 mila euro di danni alle Pilliu.

Vabbè la storia finisce un po’ tardi ma bene. Allora a che serve il nostro libro?

Come sai bene non finisce bene per niente. I 780 mila euro più interessi le sorelle non li avranno perché nel frattempo la società del costruttore è stata confiscata per mafia e non ha un euro. Quindi le sorelle chiedono allo Stato di riconoscerle vittime di mafia e pagare al posto del costruttore.

Perfetto. Il ministero dell’Interno pagherà i 780 mila euro. Tutti felici e contenti. A che serve allora questo libro?

Visto che continui a far finta di esserti dimenticato quel che abbiamo scritto, spiegherò pure questo. Nemmeno per idea! Il ministero sostiene che non sono vittime di mafia perché il costruttore, pur condannato per i suoi rapporti con i boss, non le avrebbe danneggiate come “soggetto legato alla mafia” ma come costruttore. Come se fosse legato alla mafia part-time.

Però a un certo punto lo Stato si ricorda di loro e a casa Pilliu finalmente arriva una lettera…

Sì, peccato che non è una nomina a Cavaliere per la resistenza civile trentennale. No, è una cartella esattoriale dell’Agenzia delle Entrate che chiede alle sorelle Pilliu il 3 per cento di tasse sul risarcimento che mai hanno avuto. Anche se non incasseranno i 780 mila euro, le Pilliu devono pagarci sopra il 3 per cento di tasse che la società condannata, ma ormai confiscata e nullatenente, non paga.

Effettivamente non è un bel finale: il palazzo abusivo costruito violando i diritti delle Pilliu, resta in piedi. Le casette restano diroccate. La società non paga i danni dopo una battaglia legale di 30 anni. Lo Stato non paga il risarcimento perché non riconosce le sorelle vittime di mafia e chiede loro pure il 3 per cento pari a 23 mila euro. Questo è il finale del libro?

No, per la semplice ragione che questo è il primo libro della storia che non si può spoilerare perché il finale non c’è. Lo devono scrivere i lettori insieme a noi che cediamo i diritti alle sorelle per pagare la cartella esattoriale e per altre iniziative antimafia. Abbiamo tre obiettivi. Il primo è il minimo: pagare la cartella; il secondo è far conoscere questa storia in modo che quando altri giudici, quelli della commissione che delibera lo status di vittime di mafia, dovranno esaminare la richiesta delle Pilliu, non le trattino come una pratica. Infine il terzo obiettivo è un sogno: ricostruire le casette per dimostrare che la legalità prevale e lo Stato non lascia sole le persone che si ribellano alla prepotenza. E quando lo Stato si distrae, come in questo caso, i cittadini possono sostituirlo. Io posso perché anche io, inteso il lettore non io e te Marco, anche io sono lo Stato.

Come sta andando?

Anche qui lo sai benissimo. Sta andando bene. Voglio usare questa occasione per dire grazie a tutti per la risposta dei lettori. Prima ancora di uscire il libro era già primo nelle ordinazioni. Ora tocca ai lettori del Fatto. In città come al mare o in montagna, non avete più scuse: potete comprare il libro e aiutare la battaglia delle Pilliu anche nel più sperduto paesino dove siete in vacanza. E buona estate a tutti.

Marco Lillo, Pif
Due donne sole contro la mafia
Paper First/Feltrinelli, 2021
Pagg. 160, €10,20



Io posso. Due donne sole contro la mafia

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