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L’aereo della Ryanair dirottato dalla Bielorussia

Roberta Barberini * il . Giustizia, Internazionale, Istituzioni, Politica, Società

Con l’obiettivo evidente di lanciare un avvertimento ai molti democratici bielorussi in esilio ma anche di lanciare un guanto di sfida all’Europa, ribadendo, come più volte ha fatto lo stesso Putin, che negli affari interni e sui diritti umani non sono ammesse interferenze esterne, Aleksandr Lukashenko ha dirottato un aereo della Ryanair per arrestare un oppositore politico.

Roman Protasevich è un giovane giornalista bielorusso, ex direttore di Nexta, canale di notizie che conta più di 1,2 milioni di abbonati: un seguito considerevole in un paese di appena 9,5 milioni di abitanti. Al momento del sequestro Protasevich stava rientrando in Lituania, dove vive in esilio, da una conferenza tenuta ad Atene.

Secondo i media locali, a dare l’ordine sarebbe stato Lukashenko in persona, il quale, nel rigettare le accuse di dirottamento, ha affermato di aver difeso l’Europa: a bordo dell’aereo, invero, sarebbe stata segnalata la presenza di una bomba di Hamas, pretesto che si è ben presto rivelato infondato (la mail che secondo le autorità bielorusse avrebbe segnalato la bomba in realtà fu spedita 20 minuti dopo il dirottamento).

Già i rapporti della UE con l’ultimo dittatore d’Europa, al potere da 26 anni, non erano facili: le ultime elezioni con il consueto, inverosimile 80% di voti, le proteste di piazza sui brogli, la fuga in esilio della leader dell’opposizione, la repressione, le prime sanzioni europee, di nuovo la repressione.

Questa volta Lukashenko ha superato ogni limite: lo si voglia chiamare terrorismo di stato o in qualche altro modo, c’è la realtà di un volo commerciale europeo fra due paesi europei della NATO affiancato da un caccia e fatto atterrare con una scusa per arrestare un oppositore politico. Mai prima d’ora un paese terzo aveva dirottato un volo civile di collegamento tra due capitali europee, allo scopo di arrestare un dissidente che ora, avvertono i redattori di Nexta, rischia la pena di morte in virtù delle accuse di terrorismo.

In Europa e Stati Uniti, l’incredulità per una operazione di rendition così sfacciata da non avere precedenti, ha lasciato rapidamente il posto alla condanna: Polonia e Paesi Baltici hanno dettato il tono dello sconcerto europeo, e lapidario è stato il commento del premier polacco: «il dirottamento di un aereo civile è un atto di terrorismo di stato senza precedenti, che non può rimanere impunito».

Una serie di sanzioni sono state applicate ed altre sono allo studio: al blocco dei voli da e per il paese, potrebbe aggiungersi l’inserimento del vettore bielorusso Belavia in una lista nera che sancisce l’inaffidabilità della compagnia, che a quel punto non potrebbe neppure più sorvolare lo spazio aereo comunitario. Sanzioni particolari, come il divieto di viaggio e il congelamento dei beni, hanno colpito 88 persone tra cui lo stesso dittatore, il figlio Viktor – consigliere per la sicurezza nazionale – e altre figure chiave. I campionati europei di ciclismo su pista che erano previsti il mese prossimo a Minsk sono stati annullati. Restano naturalmente in vigore le sanzioni irrogate in precedenza dall’Unione Europea nei confronti della Bielorussia, paese da tempo nel mirino per le ripetute violazioni dei diritti umani.

Anche gli Stati uniti hanno sviluppato una lista di sanzioni mirate contro membri chiave del regime di Lukashenko. L’atterraggio forzato è stato definito «un diretto affronto alle norme internazionali», ed in relazione ad esso gli USA hanno chiesto al presidente bielorusso di consentire una «credibile indagine internazionale, di rilasciare immediatamente tutti i prigionieri politici, nonché di avviare un dialogo politico completo e autentico con i leader dell’opposizione democratica e i gruppi della società civile in vista di elezioni presidenziali libere e giuste».

Il dirottamento di Stato di un volo internazionale di linea solleva problemi di carattere non solo politico ed economico, ma anche giuridico. Parte lesa è anzitutto l’Unione Europea, dal momento che si trattava di un vettore europeo, ma è stata interessata anche tutta l’aviazione civile mondiale, per i potenziali pericoli alla sicurezza del volo. Sull’episodio sta, infatti, conducendo un’inchiesta l’ICAO, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’aviazione civile. Entra in gioco, qui, anche la proprietà e la nazione di registrazione del velivolo.

In base all’annesso 2 dell’ICAO, infatti, l’autorità competente, se l’aereo è in volo, è quella dello stato di immatricolazione. In questo caso l’aeromobile batteva bandiera polacca, e, pertanto, l’aggressione “nazionale”, sarebbe stata compiuta ai danni della Polonia. E’ stato osservato, in proposito, che la Polonia potrebbe, astrattamente, intentare una causa contro la Bielorussia dinanzi alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, per violazione della Convenzione di Montreal del 1971[1].

In ogni caso, l’autorità giudiziaria polacca – proprio in forza della ritenuta giurisdizione – ha aperto un procedimento penale sia per il dirottamento dell’aereo che per il sequestro del dissidente. La Polonia, va ricordato, ospita una considerevole comunità di esuli della Bielorussia, ivi inclusi alcuni dei fondatori del canale Nexta.

L’atto di costringere un aereo di linea internazionale a deviare dal suo percorso e atterrare in un determinato aeroporto senza motivi tecnici o di sicurezza va ricondotto alla categoria della pirateria aerea. La pirateria aerea, tuttavia, a rigore presuppone che l’agente abbia un fine diverso da quello politico.

Proprio perché, invece, in questo caso l’atto aveva un fine politico, esso rientrerebbe, piuttosto, nella categoria degli atti terroristici, se non fosse che il terrorismo, a sua volta, presuppone che l’agente sia, diversamente dal caso di specie, un attore non statuale.

Atto terroristico tipico fu, infatti, ad esempio, il dirottamento dell’Airbus Air France, operato ad Algeri nel 1994 da terroristi del Gruppo Islamico Armato. Il dirottamento aereo a fini politici ricade in pieno in almeno due Convenzioni ONU contro il terrorismo, peraltro sottoscritte dalla Bielorussia (Convenzione di Montreal del 1971 per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della aviazione civile e Convenzione dell’Aja del 1970 per la repressione della cattura illecita di aeromobili).

E’ appena il caso di ricordare, per concludere sul tema, che anche assumendo, per assurdo, la colpevolezza e la pericolosità di Protasevich, la sua cattura, con le modalità con cui è avvenuta, sarebbe stata vietata dal diritto internazionale. Ogni Stato ha, infatti, il divieto di esercitare poteri coercitivi in territorio straniero, a meno di non essere a ciò autorizzato.

In quest’ottica, la cattura da parte di agenti del governo israeliano del criminale nazista Eichmann, avvenuta sul territorio argentino nel 1960 (per poi essere processato e giustiziato in Israele) fu dichiarata illecita dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, adito dall’Argentina[2].

Il dirottamento del Boeing 737 della Ryanair si inserisce in un clima di intimidazione e repressione della libertà di espressione, e in particolare di stampa, da parte di Lukashenko.

Il popolo bielorusso si è ribellato contro i brogli con cui il presidente, al potere dal 1994, avrebbe vinto le elezioni dell’agosto 2020, con un sospetto 80% di preferenze. Le manifestazioni pacifiche sono state soffocate in modo violento e con arresti di massa. Spesso i cittadini sono stati arrestati per il mero fatto di aver esposto i colori della bandiera bielorussa presovietica rossa e bianca. Le donne bielorusse sono emerse come principali voci del dissenso: ritratte spesso con fiori in mano, sono diventate fonte di emulazione e simbolo della natura pacifica delle proteste.

Nel suo rapporto, intitolato Bielorussia: voi non siete esseri umani, Amnesty International offre terribili resoconti di arresti di massa di manifestanti pacifici, sottoposti a tortura, obbligati a rimanere in posizione dolorose, pestati senza pietà e privati per giorni del cibo, dell’acqua potabile e delle cure mediche. Durante e dopo le proteste, le autorità bielorusse hanno utilizzato decine di centri di detenzione – tra cui il famigerato centro Akrestsina di Minsk – per trattenere arbitrariamente i manifestanti pacifici. Gli oppositori tuttora in carcere sarebbero 35.000, mentre almeno sette sarebbero morti durante la detenzione. Tutti i membri dell’opposizione sono in carcere o in esilio.

La Bielorussia è l’unico tra i paesi europei e dell’ex Unione Sovietica in cui sia rimasta in vigore la pena di morte, con tre sentenze pronunciate e almeno tre esecuzioni.

Maria Kolesnikova, oppositrice del regime incriminata per terrorismo, è stata arrestata dopo essere stata prelevata da uomini incappucciati che hanno tentato di espellerla verso la Polonia, abbandonandola sul confine. La scrittrice premio Nobel Svetlana Aleksievic, dal canto suo, è fuggita in Germania.

Amnesty denuncia inoltre come il sistema giudiziario nazionale sia stato utilizzato come un’arma per punire il dissenso e le vittime della tortura, anziché i responsabili di quelle violenze. Nessuna indagine è stata svolta in merito alla repressione del dissenso, benché le autorità bielorusse avessero ricevuto oltre 900 denunce di violazioni commesse dalla polizia ai danni di civili. Le uniche indagini aperte sono quelle contro i manifestanti pacifici: a fine ottobre erano oltre 600 i fascicoli aperti e oltre 200 le persone incriminate per rivolta di massa e violenza contro la polizia.

La libertà di espressione è limitata per legge, e vi è uno stretto controllo dello stato in particolare sui media on line: Nexta ha provocato l’ira di Lukashenko per la sua dettagliata copertura della repressione nei confronti dei manifestanti e per aver contribuito all’organizzazione delle proteste.

I giornalisti che collaborano con la stampa internazionale sono sanzionati pesantemente. I media on line, registrati o no, sono obbligati a tenere traccia dei nomi delle persone che commentano le notizie, ed a condividerli, se richiesti, con le autorità. Critici del governo e altre voci in disaccordo sono stati pertanto vittime di attacchi e rappresaglie, nonché di procedimenti amministrativi e penali.

Intanto, da Mosca, la portavoce del ministero degli esteri russo ha definito «scioccante che l’Occidente consideri l’incidente scioccante», sostenendo che «i paesi occidentali si sono resi in passato colpevoli di rapimenti, atterraggi forzati, e arresti illegali».

La signora non ha tutti i torti. Non è un caso, forse, se Lukashenko ha utilizzato come pretesto la necessità di reazione ad un atto di terrorismo e, soprattutto, di terrorismo islamico. Bastano tre esempi.

Quando si parla di atterraggi forzati, il primo caso che viene in mente è quello di Sigonella.

Un gruppo di terroristi palestinesi del Fronte per la liberazione della Palestina aveva nel 1985 sequestrato la nave Achille Lauro, battente bandiera italiana, che si trovava al largo delle coste egiziane, ed ucciso un cittadino statunitense. A seguito di lunghe trattative diplomatiche che coinvolsero in prima persona l’Italia, l’Achille Lauro approdò nelle acque egiziane con i terroristi a bordo. Nell’ottobre, alcuni caccia statunitensi intercettarono il Boeing 737 egiziano che stava portando a Tunisi i membri del commando dei dirottatori, costringendolo ad atterrare nella base aerea di Sigonella. Come è noto, l’allora Presidente del consiglio italiano si oppose all’intervento degli Stati Uniti chiedendo il rispetto del diritto internazionale e la consegna dei dirottatori alla giustizia italiana.

Il caso più grave è rappresentato dallo scandalo del trasferimento coatto di presunti terroristi in prigioni segrete, che macchiò gli Stati Uniti ed i democratici governi europei nel corso della guerra contro il terrorismo scatenata dal Presidente Bush.

Alla fine del 2005 dilagò la notizia secondo la quale la CIA si sarebbe avvalsa di un sistema di prigioni segrete, alcune delle quali dislocate in paesi del centro ed est Europa. Numerosi aerei della CIA avrebbero inoltre utilizzato gli aeroporti di stati europei per trasportare sospetti terroristi nelle prigioni segrete ed in paesi dove viene praticata la tortura. Secondo Amnesty International, i voli segreti CIA nello spazio aereo dell’Unione, sarebbero stati almeno ottocento, dal 2002 al 2006.

Alcune delle persone detenute in questi centri sarebbero state trasferite in Nord Africa, ed ivi sottoposte a cosiddette «tecniche di interrogatorio rafforzate».

L’esistenza di di prigioni segrete in varie parti del mondo, dove i sospetti terroristi venivano interrogati, non venne negata dal direttore della CIA, né dal segretario di Stato Condoleeza Rice, che nell’occasione riaffermò la necessità di ricorrere al sistema delle ‘’consegne straordinarie’’ nella lotta contro il terrorismo.

La commissione d’inchiesta istituita dal Parlamento europeo, nella sua relazione preliminare concluse: è «inverosimile, sulla base delle testimonianze e della documentazione sin qui raccolte, che alcuni governi europei non fossero a conoscenza delle attività di consegna straordinaria che hanno avuto luogo sul loro territorio, nel loro spazio aereo, nei loro aeroporti».

Un caso più recente di consegna straordinaria da parte dell’Italia è stata quella che è stata definita la «deportazione» di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov. Il Kazakhstan è noto per le sistematiche violazioni di diritti umani.

La donna, secondo i giudici perugini che emisero la sentenza di condanna di primo grado, sarebbe stata prelevata a mano armata, da pubblici ufficiali italiani, dalla propria villa di Roma; espulsa in tempi rapidissimi dall’Italia; caricata su un aereo privato messo a disposizione dalle stesse autorità di Astana; spedita in Kazakhstan, per rientrare a Roma dopo mesi di furiose polemiche.

L’operazione della polizia italiana sarebbe stata sostanzialmente eterodiretta dall’Autorità kazaka, che avrebbe avuto come obiettivo la cattura di Ablyazov, indicato dal Kazakhstan come pericoloso terrorista. Gli stessi kazaki individuarono poi nella espulsione della donna e della bambina verso il paese di origine, un’arma micidiale di pressione nei confronti del dissidente.

Questi casi – e soprattutto, per la sua gravità, quello dei voli segreti della CIA – gettano pesanti ombre sul modo in cui non solo gli Stati Uniti, ma anche i governi democratici europei, hanno dimostrato di reagire alla sfida del terrorismo.

All’epoca, fu proprio la diversa concezione della nozione di “legalità” il punto di crisi della  cooperazione tra europei ed americani nella guerra contro il terrorismo.

Il sequestro di persona, la negazione dell’“habeas corpus”, l’estradizione clandestina in un caso in cui quella legale sarebbe stata negata; la privazione di ogni elementare diritto di difesa, sono per l’ Europa violazioni gravissime, che possono addirittura “congelare” l’appartenenza di uno Stato membro all’Unione.

Di fronte alla sfida del terrorismo, l’amministrazione americana fece la scelta di ignorare una serie di principi che sono e restano colonne portanti dello stato di diritto. Si può, ed anzi si deve, non essere d’accordo con una tale scelta, ma bisogna riconoscere che essa fu fatta alla luce del sole e con il consenso delle istituzioni democratiche americane. I governi europei, invece, finsero di guardare dall’altra parte.

Sul piano politico, di fronte ai parlamenti nazionali, alle opinioni pubbliche e alle stesse istituzioni europee, la vicenda delle renditions avrebbe dovuto chiamare i democratici governi europei ad un approfondito esame di coscienza sulle pratiche adottate nella guerra globale contro il terrorismo.

Lo scandalo dei sequestri di persona, delle prigioni segrete, dei trasferimenti verso paesi che praticano la tortura non può essere dimenticato dai paesi occidentali, nel momento in cui, giustamente, essi condannano altri paesi per le violazioni di diritti umani nei confronti di coloro che, a ragione o a torto, vengono ritenuti terroristi.

Il progresso sulla strada della tutela dei diritti dell’individuo è passato storicamente attraverso l’affermazione del diritto di ogni accusato ad un giusto processo dove egli possa presentarsi e difendersi con tutte le garanzie di una legge equa.

Una società democratica si regge sulla convinzione che la libertà e i diritti delle singole persone vi sono garantiti. Troppe volte, nella lotta contro il terrorismo, si è andati oltre quella «crisi della ragion giuridica» che nei momenti di emergenza concede di guardare al reo dietro al reato, alla sua pericolosità e non alla sua responsabilità.

Note

[1] Secondo Francesca Salvatore, Sonar magazine 31 maggio 2021, l’art. 1 considera un crimine internazionale il caso in cui una persona illegalmente e intenzionalmente «comunica informazioni che sa essere false, mettendo così in pericolo la sicurezza di un aereo in volo»; l’art. 10 prevede che uno Stato deve «in conformità con il diritto internazionale e nazionale, sforzarsi di adottare tutte le misure praticabili allo scopo di prevenire i reati menzionati nell’articolo 1». Se ne è concluso che nel progettare un atterraggio di emergenza in ragione di una falsa minaccia, la Bielorussia avrebbe commesso una violazione grave della Convenzione di Montreal. L’Autrice osserva peraltro che la Bielorussia ha apposto una riserva alle disposizioni sulla giurisdizione della Corte.

[2] V. sul punto lo scritto menzionato nella precedente nota.

* Già Sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione

Fonte: Questione Giustizia

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