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Sulla riforma della Giustizia in prima linea accanto ai magistrati

Di Roberto Morrione il . L'analisi

Come era previsto, l’autunno si presenta nel segno del confronto fra la scelta se riformare i profondi mali della Giustizia in nome dell’interesse generale dei cittadini o far sì che, per conto e a causa degli esclusivi interessi personali del premier, si aprano varchi per i potenti e i corrotti, in dispregio del fondamentale principio che campeggia in ogni aula di tribunale, cioè che “la legge è uguale per tutti”. Una partita dalla posta enorme, che investe l’essenza stessa della democrazia e che non può vedere assenti o semplici testimoni coloro, come noi di Libera, che cercano di mantenere aperti e di allargare i percorsi dei diritti e della legalità, avendo come primo obiettivo quello di denunciare l’avanzata delle mafie e del connesso sistema di complicità politiche, imprenditoriali e sociali.

Questo sistema, che ogni giorno rivela un crescente degrado nell’irrisolta questione morale del rapporto fra la politica e gli affari, fra la pubblica amministrazione e interessi privati che nascondono comportamenti criminali, riceverebbe legittimazione e un concreto aiuto se la riforma della Giustizia si risolvesse nella scorciatoia proposta dalla maggioranza nel tentativo di trarre il capo del governo fuori dai suoi guai giudiziari, passati e futuri, dopo la netta bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale.

Per questo motivo, ricordando che la libertà dell’informazione è parte integrante della partita e che sarà altrettanto dura la battaglia di fronte al disegno di legge per le intercettazioni, ci sentiamo in dovere di fare nostre le motivazioni dei magistrati, primi protagonisti di una vera riforma della Giustizia, ma che devono affrontare senza alcun confronto una sorta di diktat del potere politico.

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