L’Italia nella morsa del crimine mafioso non vuole soltanto solidarietà: vuole risposte
Il Parlamento ha fatto bene qualche giorno fa a tributare un lungo applauso al Cavalier Condorelli per il suo netto e ribadito rifiuto di pagare il pizzo: la solidarietà manifesta è importante in un Paese come l’Italia, nel quale troppo spesso ancora chi denuncia è considerato un “infame” o uno “sbirro”. La solidarietà è tanto più credibile quando si trasforma in scelte concrete e la politica a questo dovrebbe servire.
La normativa italiana volta a sostenere gli imprenditori che si ribellano all’abbraccio mortale dell’usura e del racket è all’avanguardia nel mondo: in particolare nella seconda metà degli anni ’90 con le leggi 108 del 1996 e 44 del 1999 sono stati posti baluardi importanti. In molti casi questi imprenditori, a causa delle loro denunce, si espongono a rischi estremi che riguardano loro stessi e le loro famiglie, rischi ai quali gli strumenti di sostegno economico ovviamente non rispondono, e per questo esiste una ulteriore normativa specifica: quella che riguarda il sistema di protezione speciale per i Testimoni di Giustizia.
Le norme hanno bisogno di un “tagliando” periodico perché la realtà supera sempre la fantasia del Legislatore, anche il meglio ispirato, e per questo l’attenzione deve essere continua. Ad esempio non si capisce come mai l’imprenditore che abbia denunciato l’estorsione, e che per questo abbia avuto il “beneficio” della sospensione per tre anni di tutti i pagamenti dovuti verso lo Stato, debba ricominciare a pagare allo spirare del termine, a prescindere dal fatto che abbia nel frattempo ricevuto per davvero oppure no il “ristoro” che lo Stato prevede a favore dell’imprenditore medesimo che abbia subito un danno proprio in seguito alla sua ribellione.
Il “danno” che si subisce a causa della denuncia è poi di diversi tipi, troppo banale infatti pensare che il danno si riduca al tradizionale “danneggiamento” (automezzi bruciati, saracinesche saldate…). C’è un “danno” molto più ostico da rimediare, che è quello dell’abbandono, dell’isolamento da parte di clienti e fornitori ai quali viene fatto sapere che è meglio non rivolgersi più all’infame che ha denunciato. Per altro in certi contesti manco serve farlo sapere, perché esiste una sorta di “autocensura” (come quella che praticano certi giornalisti) che suggerisce a clienti e fornitori di stare alla larga, ché non si sa mai.
C’è un “danno” strisciante e subdolo che riguarda i traumi psicologici patiti dall’imprenditore e magari dalla sua famiglia: dalla moglie, dal marito o dai figli, soprattutto se piccoli. Lo stress, la paura, l’angoscia di essere abbandonati, di subire violenza, di finire dentro un girone infernale di processi penali e civili è un veleno che si respira in casa come il fumo di sigaretta in una stanza chiusa: soffoca! È curioso che ad alcuni imprenditori sia stato rinfacciato di non essersi fatti fare una perizia medico legale al tempo del sopraggiungere di questo tipo di malessere, come se in quei momenti la vittima di estorsione dovesse prepararsi a proteggersi dallo Stato con le carte bollate e non dai mafiosi. E potrei continuare.
Tutto quello che non va può e deve essere cambiato: nulla è ineluttabile e la politica serve a questo. A patto che abbia il coraggio di ascoltare per davvero e la pazienza di andare oltre l’annuncio del momento, sono materie complesse che richiedono dedizione e studio.
Si parla comprensibilmente molto in questi giorni della assoluta rilevanza della riforma dei processi penale e civile, dicendo che dalla loro ragionevole durata (brevità) dipende il successo dell’Italia in Europa nella partita dei fondi miliardari per la ripartenza. Vero!
Ma attenzione che la stessa cosa vale anche per la affidabilità che lo Stato saprà dimostrare ai suoi cittadini migliori: quelli che per senso di libertà e dignità denunciano. Loro sono un tesoro che vale almeno quanto i miliardi europei.
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