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Camorra, la minaccia dei Casalesi su Marrazzo

Di Claudia Fusani* il . Lazio

Dopo lo scoppio dell’affaire Marrazzo, oggi l’Unità pubblica un articolo a firma di Claudia Fusani sul possibile intervento del clan dei Casalesi nel caso che ha visto coinvolto il presidente della regione Lazio. Libera Informazione lo ripropone ponendo attenzione sugli sviluppi di un quadro che collega quanto avvenuto a Roma con le infiltrazioni nel Lazio da parte della camorra casalese.

da L’Unità, 31 ottobre 2009

Cercavano la droga e un boss latitante, sono inciampati nel telefono di
un collega carabiniere e poi precipitati nel video sex di Marrazzo. E’
un altro lato della storia. Uno di cui si parla poco, ancora confuso
perchè c’è di mezzo un morto, i clan, un’inchiesta più grande che
inciampa in una, sotto il profilo criminale, sicuramente più piccola.
Entrambe non si sa che fine faranno. La rovina dell’ex governatore del
Lazio comincia quando gli investigatori del Ros, verso la metà di
settembre, seguendo una pista di narcotraffico e di criminalità
organizzata ascoltano una frase: “Dobbiamo vendere il video del
Presidente”. Mentre gli investigatori sono sulle tracce di un
pericoloso latitante seguendo i percorsi del mercato della cocaina che
dalla provincia di Caserta risale verso Roma passando per il basso
Lazio, s’imbattono nel telefono di uno dei quattro carabinieri poi
arrestati. Da quel momento l’indagine devia, va decisamente fuori
strada, finisce in un pantano di trans, ricatti e reputazioni rovinate
e svela una storia di ritorsioni e vendette.

I punti certi. Da
tredici anni i militari del Ros danno la caccia ad Antonio Iovine, 45
anni compiuti meno di un mese fa, vicerè dei Casalesi ancora a piede
libero insieme con Michele Zagaria, l’altra primula rossa della
criminalità organizzata del casertano. A settembre, poco prima che
venga intercettata la frase sul «video del Presidente», un’informativa
dei carabinieri di Caserta avvisa che ‘o Ninno (Iovine), potrebbe aver
trovato rifugio per la sua latitanza nel tratto di territorio che va
dal litorale domitio fino al golfo di Gaeta, il sud pontino, il basso
Lazio, in un posto qualsiasi tra Formia, Latina, Fiondi e Sperlonga
dove i clan da anni, raccontano le inchieste, riciclano danaro, fanno
arrivare la droga e la smistano verso nord, soprattutto verso la
Capitale. Ora, originario di Sperlonga, è proprio Gianguarino Cafassi,
il pusher dei trans, in stretto contatto con Marrazzo e confidente dei
carabinieri della compagnia Trionfale: colui che secondo i verbali
degli arrestati aveva soffiato la presenza del Governatore in via
Gradoli. Uno dei protagonisti del caso ma di cui finora è stato, forse,
detto molto poco. Cafassi è anche l’uomo che, hanno raccontato le
croniste di Libero Brunella Bolloli e Fabiana Ferri, il 18 luglio le
contatta e offre il video di Marrazzo per 500 mila euro. «Ho bisogno di
questi soldi, la mia vita è in pericolo» dice loro in modo confuso.
L’uomo che ha avuto tutte queste parti in commedia, è stato trovato
morto il 12 settembre in una stanza d’albergo della Capitale. Arresto
cardiocircolatorio, diceva il referto redatto dalla polizia. Overdose,
è molto probabile. «Grossi problemi di salute, pesava 200 chili» dicono
oggi gli investigatori. I quali però hanno deciso, su indicazione dei
magistrati, di «fare verifiche sul fasciolo di Cafasso». Andare a
vedere meglio e più a fondo di cosa è morto, come, perchè. Anche la sua
abitazione sarà analizzata meglio. Cercando altro.

Passo dopo
passo, le domande seguenti sono: esistevano rapporti tra i Casalesi del
basso pontino e Cafasso? Era, per dirla in chiaro, colui che garantiva
copertura, ad esempio, nel ricco mercato dei trans? E poi, che rapporti
c’erano tra Cafasso e Marrazzo? Qualcuno bisbiglia oggi che tra i due
ci fosse «un rapporto diretto». Certo è che le visite di Marrazzo in
via Gradoli, così frequenti, spesso di mattina, e con così tanti soldi
(5 mila ma forse anche 15 mila in mazzette da 500) farebbero ipotizzare
visite più legate al bisogno di consumare droga che al sesso.

Mancano
tanti pezzi importanti alla storia. Cafasso non può più parlare. Brenda
e Michelle, altri due trans frequentati da Marrazzo in via Gradoli, non
sono più stati trovati. I 4 carabinieri cercano di allontanare da sè il
maggior numero di responsabilità: il video, per esempio, lo avrebbe
girato Cafasso (il gip non ci crede e lo addebita a loro). I trans
parlano, anche troppo, ma le loro parole vanno riscontrate una per una.
Marrazzo dovrà dire molto perchè finora ha detto poco e in modo
confuso. Un fatto è certo, e torniamo al sud pontino controllato dai
clan: il governatore tra agosto e settembre ha dato qualche dispiacere
a chi gestisce gli affari in quella zona. A fine agosto, nonostante le
resistenze, ha fatto nominare un nuovo direttore del Mercato
ortofrutticolo, un tecnico in grado di tenere i clan lontano dagli
affari del mercato. Due settimane fa, sempre a Fondi, aveva detto no ad
un’altra nomina importante che vede coinvolti Mof e Imof, la società
che gestisce gli immobili del mercato per cui negli anni sono stati
spesi 75 miliardi della Cassa Mezzogiorno. Il no di Marrazzo è stato
ignorato. Dopo pochi giorni lo hanno chiamato i carabinieri. E la sua
vita politica è finita per sempre.

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