Moderni Ippocrati
«Come è potuto accadere che uno che Stato susciti disprezzo?», abbandonando la democrazia, giocando con le leggi, sovvertendole insieme alle istituzioni. In questo modo Barbara Spinelli, giornalista de La Stampa, ha iniziato l’intervento conclusivo durante la plenaria di Contromafie.
L’editorialista, da tempo residente a Parigi, ha voluto in maniera concisa, seppur solenne, analizzare la situazione italiana e calarla nel contesto di coloro che giornalmente lavorano per cambiarla, non arrendendosi. Coloro che sono consci di «abitare in un Paese capace solo di fare interventi ai funerali» ma che tuttavia hanno speso e spendono le lore vite per lottare.
Cosa assai dura, ricorda la Spinelli, quando sono considerati illegittimi i poteri di controllo e la stessa separazione dei poteri, quando il rapporto stesso con la mafia è figlio di una degenerata coabitazione col potere, «Potere che viene abusato da coloro che lo possiedono». E, in un passaggio significativo della Spinelli, viene sottolineata come la trattativa tra mafia e Stato non sia solo un papello con le richieste di un boss, ma la stessa approvazione di leggi come lo scudo fiscale che rappresentano una vera e propria trattativa legittimata, che ci fa vivere all’ombra costante di un patto, di cui magari, per citare Pasolini, non abbiamo tutte le prove, che di cui sappiamo.
E di cui dobbiamo farci portavoce. Novelli Ippocrati li definisce la Spinelli. Senza però il vincolo del giuramento e capaci di scuotere insieme a una informazione vera l’opinione pubblica che prima di essere responsabile deve essere giustamente messa a conoscenza dei fatti. Per evitare, principalmente, che un vuoto, spaventoso e letale, inghiotta le persone e le faccia sentire avulse e poco responsabili del loro mondo. Anche quando parliamo dell’Italia diciamo spesso «questo Paese»: quasi una presa di distanza e al tempo stesso un alibi per non attivarci. Per uno Stato, un Paese, un’Italia che invece necessità di una fedeltà paradossale, servita e mostrata anche nei momenti di maggior perversione istituzionale e negazione democratica. Come hanno fatto nei decenni tanti esuli che a quella fedeltà hanno sacrificato le vite, attuando una resistenza attiva, tramutata per noi in speranza di mutamento.
Soprattutto su questo si basa la riconquista del territorio, della legalità, su una presa di coscienza, che risulta già fondamentale perché ci fa sentire parte integrante di un processo e non ci isola al di fuori, inermi e senza possibilità di agire. Perché, ricorda la Spinelli in chiusura, non «bisogna mai smettere di contrattaccare».
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