Università e ricerca nella lotta alle mafie
Il seminario, gestito da Stefania Pellegrini dell’Università di Bologna, ha preso le mosse da un quesito molto importante: come può l’Università contribuire alla diffusione di cultura della cittadinanza? Relatori del seminario sono stati: Nando Dalla Chiesa presidente onorario di Libera; Alessandra Dino dell’Università di Palermo; Anna Maria Campanale dell’Università di Foggia; Ombretta Ingrascì, ricercatrice presso l’Università di Milano; Giuseppe Muti dell’Università di Cassino.
Il tema ha offerto spunti in direzioni molto diverse. Un primo macro tema è stato una riflessione sulla didattica dell’antimafia. Il primo spunto è emerso ha partire dal corso “educazione e cultura di legalità”, molto poco seguito dagli studenti dell’Università di Foggia legata all’inflazionamento contenutistico dell’iter accademico. Poco è, infatti il tempo per approfondire questa tematica, che spesso scivola in secondo piano rispetto ad altri corsi. Un secondo spunto ha riguardato il manifestarsi negli studenti foggiani di un approccio troppo netto nei confronti della colpevolezza. Questo atteggiamento se per certi versi può essere considerato nobile dall’altro rischia di offuscare la capacità di giudizio degli studenti ed il ripiegamento da parte loro in una concezione estremamente manichea del diritto. Non sembra quindi auspicabile aspettarsi come condicio sine qua non il corso, ma una più diffusa promozione di alcune buone prassi tra i docenti, che possano favorire un clima accademico più aperto alla riflessione sull’antimafia. Si può innanzitutto riflettere sulla quantità di materie che potrebbero offrire degli spunti di riflessione per affrontare le tematiche mafiose (ingegneria, geografia, economia, etc.); in secondo luogo è importante sottolineare il pericolo di scivolamento di un corso nella trattazione di aspetti più politici che potrebbe minare la credibilità del docente.
Il secondo macro tema è stata la ricerca universitaria. Anche in questo caso sono state molte e molto interessanti le problematicità emerse: dalla difficoltà per un ricercatore di specializzarsi sull’antimafia, ad un necessario lavoro di riordino dell’ormai vasta bibliografia sul tema, passando per la necessità di mettere in rete tutte le esperienze di ricerca che si muovono in quella direzione. Ultimo aspetto, forse il più amaro di tutti è stata una presa d’atto tra alcuni desiderata teorici e lo stato di fatto problematico di molte accademie: gli ingenti tagli ai fondi universitari previsti dalle prossime finanziarie, l’assenza di diritti dei ricercatori precari destinati inoltre a svolgere alcune funzioni definibili di segreteria, la mancanza di legalità all’interno di alcune facoltà. (uno studente di giurisprudenza portava ad exemplum le infiltrazioni camorristiche all’interno dell’Università di Napoli), la competizione tra dipartimenti per il possesso di nuovi corsi sperimentali. La posta in gioco è comunque alta. L’Università deve saper fornire un’importante produzione contenutistica contraddistinta da un linguaggio che possa essere da una parte alternativo al linguaggio d’inchiesta, dall’altra accessibile alla comunità non accademica. Il consolidamento di un approccio scientifico al tema mafioso potrà essere determinante ai fini della diffusione di una cultura di legalità nel nostro paese.
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