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Le mafie al tempo della crisi economica e finanziaria (economia sommersa e riciclaggio)

Di Riccardo Guido il . Atti e documenti

Con la crisi economica si sono aperti nuovi spazi per le mafie? Se i soldi sporchi non avevano odore negli anni della crescita, ora che la crisi economica e finanziaria ha portato vicino al crac le economie dei paesi più ricchi, quei soldi sono diventati addirittura profumati?

I dati a livello mondiale del riciclaggio per finalità mafiose o terroristiche parlano di 3,78 trilioni di dollari, i 9% del PIL mondiale.

Dunque una mole di risorse che è in grado di influire sulle scelte decisive per l’economia mondiale.

Come si può contrastare questo fenomeno? E’ una lotta che può essere vinta dagli apparati repressivi? Può essere vinta dai singoli paesi?

Queste erano le questioni sulle quali i singoli relatori ed i partecipanti al dibattito hanno cercato di fornire una migliore base di conoscenza e qualche ipotesi di risposta. 

Tutti gli addetti ai lavori ormai sono d’accordo che, quando si parla di riciclaggio, si parla di un fenomeno che non interessa più solo le mafie o i gruppi terroristici, e non si muove più solo all’interno delle frontiere nazionali.

Con la sempre maggiore interconnessione tra le diverse economie, la finanza e le imprese si sono dotate di strumenti di scambio delle risorse e di investimento sempre più veloci ed internazionali. Su questi strumenti, fin da subito, hanno investito anche le mafie che hanno plasmato il loro stesso modello organizzativo per far fronte a queste esigenze. Non a caso la ‘ndrangheta sul riciclaggio ha mostrato tecniche, procedure, messo a disposizione uomini capaci, a tutti i grandi cartelli della droga del centro america.  

Il processo di “ripulitura” si snoda lungo tre tappe. Il “prelavaggio” è la fase in cui il denaro entra nel circuito legale. I sistemi sono diversi, uno dei più semplici è quello di frazionare i capitali in piccole somme, meno sospette, da versare successivamente in diversi conti bancari da, cui — è il passo successivo — nasceranno altri conti, aperti questa volta in centri off-shore. La tappa finale è il riciclaggio vero e proprio: attraverso società di comodo costituite nei paradisi fiscali, il denaro viene reinvestito, in modo apparentemente legittimo, in immobili, catene di ristorazione, partecipazioni azionarie queste società entrano in affari con società totalmente pulite ed il risultato finale è ottenuto. 

In Italia sempre più questo avviene con: investimenti nell’immobiliare, dove l’elusione e l’evasione sono presenti anche nelle transazioni tra normali privati; realizzazione di centri commerciali dove i negozi fanno scontrini al solo fine di ripulire gli introiti della droga; investimenti nella distribuzione alimentare e nel gioco d’azzardo dove il giro di denaro contante facilita l’immissione di capitali sporchi; acquisizione di imprese ed attività lontane dai luoghi d’origine delle cosche, sia per attirare meno l’attenzione sia per aprire nuovi “mercati”. Così la ‘ndrangheta, ad esempio, ha spostato il baricentro dei suoi interessi in Italia a Milano, così ha aperto nuove attività in Germania, Belgio, Canada ed Australia. 

Ci si trova di fronte a un’economia drogata, nella quale l’entità del denaro di origine criminale è in grado di alterare i meccanismi della concorrenza, di disturbare il movimento dei capitali con il rischio di gravi crisi finanziarie e di destabilizzare interi sistemi bancari. 

Per contrastare questo sistema la via della repressione si muove sulla necessità di diminuire sempre più la circolazione di denaro liquido, favorendo comunque la tracciabilità dei movimenti; e sulla omogenizzazione delle leggi. Non ci sono, però, organismi internazionali realmente operativi contro il riciclaggio, ogni stato agisce da solo, anche se sta crescendo la cultura dello scambio informativo e delle indagini comuni. Ed anche sulle norme la collaborazione è ancora in embrione, tanto che dopo una stretta delle normative negli Stati Uniti, approvata dopo l’11 settembre 2001 in chiave antiterroristica, gran parte del traffico di denaro legato al riciclaggio si è spostato con relativa facilità, verso l’Europa. 

Le multinazionali non legate alla criminalità hanno comunque interesse a mantenere differenze nelle legislazioni perché così ne sfruttano le debolezze, aprendo attività laddove la legge è più favorevole agli interessi della società. In questa debolezza si inseriscono anche le mafie, che così beneficiano di un lavoro di lobby contrario alla piena trasparenza che si muove costantemente. 

Per questo una prima risposta è sicuramente incrementare la collaborazione internazionale. Fare le leggi è ancora considerato una materia esclusivamente appartenente alla sovranità nazionale, ma ci sono i primi esempi di cooperazione anche a livello legislativo, e l’UE è sicuramente uno dei punti più avanzati.

Ma ci sono troppe timidezze, soprattutto a livello delle Nazioni Unite, anche se si è provato a far fare dei passi avanti con la convenzione di Palermo del 2001, ancora largamente inapplicata anche da molti dei paesi sottoscrittori.

In Europa cambierà molto con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ed anche la collaborazione sulla legislazione penale sarà più facile ed efficace, grazie alla possibilità di prendere decisioni a maggioranza.

Ancora oggi la confisca di un bene, in Europa, avviene solo se si dimostra che è un provento di reato: il passo vero per combattere il riciclaggio a livello transnazionale in Europa è arrivare ad invertire l’onere della prova, cioè è chi detiene un bene sproporzionato al proprio reddito che deve dimostrare la liceità del suo possesso. Su questo ha fatto un passo importante la Germania che nel luglio scorso ha approvato una nuova legge sulla confisca ed il riutilizzo dei beni ricondicibili alle mafie. 

Per capire quanto sia importante avere leggi omogenee in tutti gli Stati è stata portata ad esempio   la storia di Vito Roberto Palazzolo, forse il più grande riciclatore per conto di Cosa Nostra, ancora oggi libero ed attivo in SudAfrica, malgrado sia stato condannato in Italia in via definitiva; le storie degli investimenti della camorra in Spagna e della ‘ndrangheta in Belgio e Germania; le vicende degli investimenti della criminalità organizzata in Bulgaria ed i traffici criminali in Africa. 

Per questo servono leggi condivise sulla circolazione dei capitali, sull’accesso all’anagrafe dei conti bancari, sulle forme societarie e sul sequestro e la confisca dei beni. 

Una seconda risposta, strettamente legata alla prima, è incentivare il ruolo della cittadinanza attiva che ha due compiti: far crescere la coscienza pubblica in maniera da far capire che la lotta al riciclaggio passa anche dai comportamenti quotidiani dei singoli; aumentare la percezione pubblica dei successi della lotta al potere economico delle mafie anche grazie al riutilizzo sociale dei beni confiscati. Dunque un ruolo di denuncia, informazione e formazione che deve coinvolgere la società civile di nazioni diverse e sempre più numerose. 

Esiste anche un ruolo per le imprese pulite che richiede nuove modalità di collaborazione e cooperazione. Di fronte a operazioni sofisticate deve esserci collaborazione tra le forze che devono reprimere i reati e le imprese che devono essere più disponibili a dare contributi di conoscenza; formare i propri operatori ad essere elementi attivi del contrasto al riciclaggio; rafforzare gli strumenti di autocontrollo, superando le diffidenze, fondando questa azione sulla convinzione che se c’è controllo si fa meglio il proprio lavoro e si lavora meglio per tutta la collettività. 

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